Nella ‘yurta’

Siamo stesi a terra su due coperte umide, sepolti da diversi strati di trapunte pesantissime.

Quasi impossibile rigirarsi, impossibile dormire.

Anche perché accanto a noi, di sigillo, sono stesi i sei membri della famiglia kirgiza, a loro volta scomparsi sotto pile di panni imbottiti per ripararsi dal freddo della notte.

Siamo a 3700 metri, sul lago Karakul, la nostra prima tappa in Cina. Il cuore batte impazzito per l’altitudine; ho gli occhi sbarrati e la testa pesante. Sbircio il cielo stellato attraverso il piccolo foro sul tetto della yurta, mentre la stufetta a legna esala l’ultimo sospiro, in una capriola di fumo.

Siamo arrivati dal Pakistan. Abbiamo attraversato il confine sul Punjerab Pass, a 4800 metri, con un viaggio traballante in minibus attraverso uno dei paesaggi più suggestivi della nostra vita: cime innevate, distese verdi disseminate di yurte, cavalli e cammelli. Poi, come una visione, il lago KaraKul, le sue acque blu intenso, nell’abbraccio di nevi perenni. Da qui si può raggiungere il campo base del Muztagh Ata.

Appena scesi dal bus, questa mattina, siamo stati circondati da una folla di kirghizi che ci proponevano vitto e alloggio per la notte. Troppo comodo dormire nell’hotel del resort. Esperienza da non perdere, invece, una notte in yurta, la tenda circolare dei pastori kirghizi: una ciambella di pelli animali cucite, inghiottita da un silenzio irreale, a pochi passi dal lago. E il lago: limpido e puro, come una lacrima. Una lacrima di Dio.

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Cosa diceva la guida? Vado a rileggere per cercare cosa ci ha spinto a venire qui: «Circa a 500 metri dal resort c’è una vera yurta dove potete dormire e mangiare alla maniera kirghiza. La yurta è sorprendentemente calda e il cibo semplice ma abbondante: sarete tentati di restare più di una notte».

Direi che una notte può bastare.