LE STRENNE del Gsf: “Ricette e racconti di cucina” di Alda Pellegrinelli

LE STRENNE del GSF

il Gruppo scrittori ferraresi

vi propone qualche consiglio di lettura

in prossimità del Natale.

La strenna (fonte Wikipedia)

La strenna, o strenna natalizia, è un regalo che è d’uso fare o ricevere a Natale o nel periodo natalizio.

Tale usanza discende dalla tradizione dell’Antica Roma che prevedeva lo scambio di doni augurali, durante i Saturnalia, ciclo di festività romane che si svolgevano dal 17 al 23 dicembre, in onore del dio Saturno, e precedevano il giorno del Sol Invictus. Il termine deriva dal latino strēna, vocabolo di probabile origine sabina, con il significato di “regalo di buon augurio”.

Secondo Varrone, l’uso della strenna adottato già dalla prima fondazione dell’Urbe, istituito da Tito Tazio che per primo colse, quale buon auspicio per il nuovo anno, il ramoscello di una pianta (arbor felix) posta nel bosco sacro alla dea Strenia; dalla quale derivò il termine strenae per i doni di vario genere, anche monete, da scambiarsi nelle festività dei Saturnalia.

In campo editoriale, nel XIX secolo, la strenna indicava una raccolta di componimenti in prosa e poesia che veniva posta in vendita a capodanno. Da questa consuetudine deriva la definizione “strenne editoriali” o “libro strenna” per le pubblicazioni poste sul mercato nella prima settimana di dicembre, al principale scopo di fungere da tradizionale regalo per le festività natalizie.

 

Ecco il nostro primo consiglio per le imminenti festività:

 

Ricette e racconti di cucina,

autrice Alda Pellegrinelli,

editore L’ORTO DELLA CULTURA, 2021

di Nicoletta Zucchini

Il libro di Alda Pellegrinelli, “Ricette e racconti di cucina” editore L’ORTO DELLA CULTURA 2021, è stato scritto pochi mesi fa, durante un periodo che ora ci sembra appartenere ad un tempo molto lontano, infatti finalmente ne stiamo vedendo la via d’uscita anche se ancora con qualche colpo di coda.

Nel corso di questo difficile periodo, l’autrice, come sua abitudine, non si è persa d’animo anzi ha messo in campo, in modo nuovo, il proprio talento dando vita ad un’opera molto originale. Ha unito le sue competenze specialistiche di ambito storico artistico con il fare, con il “mettere le mani in pasta”, rivisitando conoscenze e saperi, chiamando intorno a sé amici ed anche un rinomato chef, richiamando alla memoria le ricette di casa; tutte queste fasi sono corredate da fotografie scattate da lei stessa, per cui si può tranquillamente affermare che “Ricette e racconti di cucina” è un libro che non solo si legge in modo molto piacevole, ma anche, si divora con gli occhi.

Semplicità, essenzialità, autenticità

Dalle parole di Alda Pellegrinelli desumiamo le ragioni profonde del libro: «Mi capita talvolta di sentire il bisogno di mettermi ai fornelli, di dedicarmi cioè a quella sana manualità che di solito si traduce in piacere per gli occhi e per il palato; la colpa di questo è in parte di mia madre, romagnola doc, e in parte delle due nonne, una pure romagnola doc, l’altra veneto-polesana: sono loro che mi hanno avviato a questa attività alternativa alle cose “nobili” della mente… sono loro poi che mi hanno indicato con i fatti, ossia con le loro preparazioni, gli elementi basilari da tenere presenti quando si lavora ai fornelli: la semplicità, l’essenzialità, l’autenticità, quest’ultima intesa nel senso che non si devono nascondere i sapori autentici degli ingredienti che si utilizzano, anzi essi devono essere sempre riconoscibili quand’anche ben amalgamati con altri.»

Facciamo parlare ancora l’autrice: «I tempi e le abitudini di vita sono cambiati parecchio, la grande cucina è quasi soltanto prerogativa delle/degli chef. Per queste ragioni le ricette che troverete nel libro, soprattutto le mie, sono all’insegna del facile (da eseguire) e veloce (nei tempi richiesti), il che non significa “me la cavo in fretta e furia” … ma soltanto che cerco di risolvere il mio lavoro raggiungendo il risultato finale in un tempo ragionevolmente breve.»

Ogni cuoco ha il suo segreto,

ogni palato ha il suo gusto.

«Ci sono luoghi dove il ricordo mi si confonde ai pensieri e ai sapori che li accompagnano in un tutt’uno di memoria ed emozioni, visive ed olfattive (Proust docet). Luoghi molto belli per la delicatezza del paesaggio, talvolta esaltata dai colori che una stagione o l’altra dona loro, oppure da ricordare per la bellezza delle opere d’arte di cui sono involontario, privilegiato scrigno. Capita allora, nel rivederli, che profumo e calore della natura, presenze e forme delle loro architetture o delle opere che ad essi sono legate in vincolo di appartenenza, mi richiamino alla mente qualcosa di particolare che il palato ha avuto la fortuna di assaporare proprio lì, in quel preciso luogo, recuperandolo da quello stravagante, incredibile cassetto dove vanno a collocarsi le percezioni del sapore e del gusto. Una cosa davvero strana perché, con il pensiero, mi riporta sulla punta della lingua il sapore, quello e non un altro. Anche dopo molti anni»  (A. P.)

Qualche ricetta dalla storia

Nella prima sezione compiamo un excursus attraverso i secoli toccando sei grandi tappe della cucina europea. Per mezzo delle parole e delle immagini che ci propone l’autrice, compiamo un primo viaggio ad Aquisgrana, fra i resti della splendida reggia e alla sala del trono che fu di Carlo Magno. L’accurata documentazione e la narrazione consentono una precisa ricostruzione del cerimoniale del banchetto e di come fosse riccamente imbandita la tavola imperiale, per gustare quelle prelibatezze i commensali di allora avrebbero dovuto seguire il cerimoniale vincolato al proprio rango.

«Il rigido protocollo, che ricordava la scala gerarchica dei diversi ruoli rivestiti dagli uomini di corte, prevedeva la presentazione delle vivande a Carlo da parte dei duchi e dei re delle nazioni dell’Impero. Lui sedeva su un seggio più alto rispetto a quello degli altri commensali»

Il banchetto imperiale diveniva la rappresentazione plastica dell’ordine dell’età feudale.

Solo “le donne oneste” erano ammesse al banchetto e a tutti si richiedeva di parteciparvi con vesti acconce e pulite e di curare bene anche l’igiene delle mani.

Ecco sfatati due dei tanti pregiudizi di noi contemporanei verso il Medioevo.

Per le gustose ricette, si rimanda alla lettura diretta dal libro.

La seconda tappa ci conduce a Bayeux, l’autrice ci propone la lettura di alcune immagini dell’arazzo, attraverso le quali possiamo ricostruire il banchetto in onore di Aroldo duca di Wessex prima della partenza (per la storica battaglia di Hastings del 14 ottobre del 1066), il secondo banchetto, presenta una scena più complessa, anche dal punto di vista simbolico.

Seguono le ricette descritte accuratamente nella loro preparazione.

Con la terza tappa siamo in Italia. «Ancora oggi rivedo, l’erba alta, di un verde chiaro, e le sottili canne lacustri appena ricurve sulle silenziose acque della Lia … Seduta sul muricciolo che delimita la pertinenza di San Giovanni Battista al Tempio, alzo lo sguardo e non vedo altro che una gran distesa verde…e verso oriente… un filare di pioppi. Il silenzio tutt’attorno diventa situazione ideale per meditare.» Siamo in Italia, in provincia di Treviso, in un territorio in cui dominavano i Templari, la Commenda Templare di San Giovanni Battista al Tempio di Oderzo era l’area centrale… Un’area ricca e fertile dove si coltivavano vitigni importanti, resa ancora più importante dalla presenza del fiume Lia. «Da queste parti si gustavano (e per fortuna si gustano tuttora) prelibatezze particolari, il vino Raboso, gli asparagi bianchi, dolcissimi e saporiti, i gamberi di fiume».

A San Polo in Piave, nella piccola Chiesa di San Giorgio, possiamo ammirare l’Ultima Cena, un affresco della seconda metà del XV secolo, dove sulla tavola imbandita fanno bella mostra di sé, i grossi gamberi del fiume Lia. Paesaggio, arte e prelibatezze culinarie: quante meraviglie riservano i nostri borghi italiani, piccole realtà, ma grandi scrigni di bellezza a misura del viaggiatore che non si accontenta.

Nella quarta tappa l’autrice ci illustra il castello di Vaux-le-Vicomte, la sua incredibile storia e lo storico banchetto che vi si tenne il 17 agosto del 1661.

Invitati le Roi Luis XIV, il Re Sole e solo, si fa per dire, 6000 invitati. Il cuoco e maestro delle cerimonie era nientemeno che monsieur Vattel. La Fontaine scrisse: «La delicatezza e la ricercatezza delle pietanze fu grande, ma ancor più grande la grazia con la quale il Sovrintendente e la consorte fecero gli onori di casa».

Aggiungiamo che nella dispensa del castello c’erano allora 36 dozzine di piatti d’oro massiccio e un servizio di posate sempre d’oro, il padrone di casa era Nicolas Fouquet, sovrintendente delle finanze del regno, ma dopo quel banchetto, anzi a causa di quel banchetto, fu messo sotto accusa e finì i suoi giorni imprigionato nella fortezza di Pinerolo.

Alcune prelibatezze che gustiamo ancora oggi, furono create per quel banchetto, come la crema Chantilly e i Croquembouche: i nostri bignè ripieni di panna montata.

Molto interessante la nota a piè di pagina sulla diffusione della cucina francese dopo il Congresso di Vienna: ma allora questo famigerato Congresso con ci ha dato solo la restaurazione!

Con la quinta tappa siamo a Magenta, dove la famosa battaglia dall’esito fortunatamente inaspettato per Napoleone Bonaparte, sarà d’ispirazione per Françcois Dunad, cuoco personale dell’empereur, per preparare il famoso pollo alla Marengo. Sempre ineguagliabili i vini consigliati.

Con la sesta e ultima tappa siamo sempre in Italia, siamo a Dovadola, «un paese incollato sulle colline forlivesi nel punto in cui iniziano ad addentrarsi nell’Appennino offrendo alla vista un lento alternarsi di vigneti, macchie di faggi e castagni e qua e là qualche cipresso. È un luogo parte di un paesaggio che conserva la dolcezza incontaminata dei fondali di Piero della Francesca, si può dire un luogo dell’anima per l’anima». Le parole dell’autrice testimoniano ancora una volta come il paesaggio italiano dei piccoli borghi siano incommensurabili patrimoni collettivi di natura, arte, cultura e gastronomia: un unicum che fiorisce solo nel “bel paese”. Non a caso cito le parole del sommo Poeta, nell’anno del settimo centenario della morte, vivo nelle parole delle sue opere e nei luoghi che ha attraversato. Dovadola è luogo del percorso dantesco dell’Appennino, in questo paese sorgono i resti di una rocca dei conti Guidi, così cari al poeta per l’ospitalità offerta (ma nel castello di Poppi). Dovadola è anche luogo dove capita «di confrontarsi con i segni imperscrutabili della fede e di scoprire il luogo dove questi segni si manifestano» oppure più oltre «di lasciarsi catturare da qualcosa di più terreno…dal profumo dimenticato di quel brodo di cappelletti di magro che preparava mia madre…si diffonde da una locanda semplice, dove le tovaglie profumano di bucato e l’oste ci accoglie gioviale e premuroso».

Nel libro seguono le ricette di Sua Maestà il cappelletto e La rosa di Benedetta, una delicata preparazione al forno di pasta sfoglia contenente al suo interno una mela. Questa preparazione è stata creata dall’autrice e dedicata a Benedetta Bianchi Porro, beata che in questi luoghi fu testimone di fede.

Le ricette dei miei amici

Nella seconda parte del libro “assaggiamo” qualcosa di salato e qualcosa di dolce.

Alda Pellegrinelli convoca intorno a sé gli amici storici, uomini e donne, uno alla volta ci illustrano le ricette preferite e insieme a loro facciamo un viaggio nelle più gustose ricette regionali e nei prodotti di cui è così ricco il territorio italiano. Insieme ai ritratti degli amici, spiccano anche quelli di Germano Pontoni, famoso chef friulano e Gian Luca Gazzoni e Tiziana Matteucci di Forlì. Ricordiamo il Friuli e la Romagna come scrigni di eccellenti biodiversità.

Alda sa raccontare in modo speciale le varie fasi di preparazione delle ricette, perché lei stessa vi si cimenta e alla fine una bella foto suggella e testimonia l’invitante riuscita.

«Questa sezione è un inno all’amicizia, che è anche condivisione di conoscenze, di esperienze, di gusti, così nella vita come nella tavola.»

La terza parte è una carrellata nella storia culinaria dell’autrice, la partenza avviata con l’ausilio del famosissimo Cucina dalla A alla Z di Luigi Carnacina, figura storica nell’arte culinaria italiana, poi “messi da parte i sacri testi, nel tempo, ho imparato anche a divertirmi ai fornelli e a inventare qualcosa di autenticamente mio, pur nella semplicità”.

In chiusura l’autrice ci fa un ultimo dono prezioso per i momenti in cui, privi di tempo o di idee, non sappiamo che pesci pigliare: Qualche idea per condire la pasta, Quando scatta l’ora x (che di solito è mezzogiorno) e in frigo non c’è niente di pronto…