Palazzo dei Diamanti rende onore a Ligabue
Tania Droghetti
Matto, folle, genio, artista. Sono le parole che accomunano tutti discorsi di presentazione della mostra Antonio Ligabue. Una vita d’artista, dedicata al pittore nato nel 1899 a Zurigo e morto a Gualtieri, in provincia di Reggio Emilia, nel 1965. La mostra è a cura di Marzio Dall’Acqua e Vittorio Sgarbi e sarà visitabile dal 31 ottobre 2020 al 5 aprile 2021 a Palazzo dei Diamanti.
<L’arte di Ligabue nasce dall’impossibilità di essere felice. Le malattie, l’autolesionismo, la follia, la grandissima povertà vengono compensate dal genio> ha spiegato l’assessore comunale alla cultura Marco Gulinelli.
<Mi appassionai di Ligabue quando da piccolo vidi uno sceneggiato della Rai in cui il pittore era interpretato da Flavio Bucci – ha invece raccontato il sindaco Alan Fabbri – rimasi colpito da tre cose: le opere, ricche di colore e di animali selvatici e che mi creavano grande emozione, gli ambienti della Val Padana così vicini a noi e che tanto hanno contribuito all’arte di Ligabue e la sua follia, un vero fuoco dentro>.
<Ligabue è stato sempre compreso dal popolo e scansato dalla critica. Il sogno, la sua visione sono stati bellamente ignorati dai libri di storia dell’arte – ha voluto sottolineare Vittorio Sgarbi, curatore della mostra ma anche presidente della Fondazione Ferrara Arte che insieme alla Fondazione Archivio Antonio Ligabue di Parma ha organizzato l’esposizione -; la sua è la visione di chi sta acquattato lungo gli argini del grande fiume e ci propone una realtà inedita. E gli animali selvatici? Sono il sogno che si sovrappone alla vita contadina di Gualtieri, che pure viene riprodotta. Ligabue ha la capacità di rappresentare istinti, muove il cuore delle persone semplici, questa è quindi una mostra democratica>.
Augusto Agosta Tota, presidente della Fondazione Archivio Antonio Ligabue di Parma, ha raccolto in giro per la penisola 106 opere dell’artista: 76 quadri, 20 sculture e 10 disegni: <per poter presentare Ligabue nella sua pienezza e devo ringraziare per la massima disponibilità tutti i prestatori e il nuovo direttore della Fondazione Ferrara Arte per come è stata allestita la mostra>.
E allora proprio a questo nuovo giovane direttore, Pietro Di Natale, chiediamo quali sono le caratteristiche principali di questa mostra e perché a Palazzo dei Diamanti a Ferrara?
È un po’ un richiamo alla mostra del 1972 su Ligabue che venne fatta qui nell’era di Franco Farina. È una mostra antologica che quindi copre l’intera produzione artistica, infatti, come ha ricordato Tota, contempla non solo i dipinti ma anche le sculture e i disegni in un percorso che abbiamo ideato che va dagli autoritratti ai ricordi dell’infanzia ai ritratti dei conoscenti e degli amici per poi passare alla produzione più nota che è quella dedicata agli animali.
Ligabue si sente un animale egli stesso, è un uomo selvaggio che cerca, come gli uomini primitivi del Paleolitico, pensiamo alle grotte di Lascaux o di Altamira, di riprodurre quello che vede ma anche quello che non può vedere, la sua è una pittura che si dà una realtà nuova, che è poi quello che cercano di fare un po’ tutti gli artisti: competere con la realtà esistente attraverso il filtro dei loro occhi, della loro creatività e della loro immaginazione per crearne altre”.
È la prima volta, come ha ricordato Vittorio Sgarbi, che una mostra su Ligabue occupa uno spazio così istituzionale
Palazzo dei Diamanti è uno spazio deputato alla valorizzazione della grande pittura, anche moderna e quindi Ligabue non se lo sarebbe forse mai aspettato di finire in un luogo simile, però è anche un grande risarcimento, lui è un outsider assoluto in un secolo come il ‘900 dominato prima dalle avanguardie e poi dall’arte concettuale, ma è un pittore che resiste e questa resistenza lo ha portato in questo spazio. In un momento difficile, critico come quello che stiamo attraversando è importante portare un inno alla vita, questa mostra lo è perché racconta una vita difficile riscattata dall’arte, ripercorrere questa storia può essere di conforto per il pubblico come l’arte è stata di conforto per Ligabue.
In questa mostra si riscopre anche un Ligabue artista a 360 gradi
Esatto. Non era solo pittore, era anche scultore, utilizzava l’argilla del Po, faceva sculture non cotte, che poi sono state fuse con il bronzo perché non andassero perdute, come era già successo con altre. Forse come scultore era anche più forte e più abile che con la pittura e lo stesso si può dire dei disegni che non erano funzionali allo studio del dipinto, non erano esercizi propedeutici al dipinto. Nei dieci disegni in mostra troviamo un campionario di animali di grande immediatezza, accompagnato da scritte in una lingua incomprensibile tra tedesco e padano che era la sua lingua, anche in questo caso sono opere che richiamano gli uomini primitivi che si stupiscono davanti al miracolo della natura e dei suoi esseri viventi.
Da dove arrivano nella sua testa tutti questi animali selvatici, la tigre, il leone, l’orso?
Li vede certamente nei libri, al circo, ai tempi c’erano le documentazioni, poi li rivede attraverso i suoi occhi e ce li consegna con una dignità, si mette quasi dalla loro parte, lui stesso si identifica probabilmente in loro, nell’istinto, nella rabbia che anche lui prova per la sua emarginazione. Il ruggito della tigre è il suo ruggito nei confronti della realtà, è il suo modo per esprimere e dare voce ai suoi pensieri.
Non ci sono però solo animali, lotte e ruggiti in questo inno alla vita, oltre che dalle passioni e dalle ossessioni passa anche in fondo dall’amore tenero per Cesarina
Cesarina lavorava nella locanda di Guastalla dove visse Ligabue negli ultimi anni, nel dipinto in mostra che la ritrae, che è del 1961- 62, sulla parete si può notare che c’è appeso un suo quadro, un’opera nell’opera. Cesarina, così come l’autista che lo accompagnava in giro in quegli anni e che ogni volta che gli apriva lo sportello doveva fargli l’inchino, fanno parte di quella normalità e di quel riscatto che Ligabue in fondo ha sempre cercato.
La mostra e il catalogo sono dedicati a Franco Maria Ricci, editore da poco scomparso, che nel 1967 pubblicò nella sua collana I segni dell’uomo un libro dedicato a Ligabue, con i testi di Cesare Zavattini e in copertina il dipinto la Testa di tigre del 1956; questo volume, come ha ricordato Vittorio Sgarbi, <contribuì allo sdoganamento di Ligabue>.
Nel catalogo si trova anche un saggio di Philippe Daverio, altro grande amante dell’arte scomparso da poco.
La mostra su Ligabue sarà l’ultima prima della chiusura per restauro di Palazzo dei Diamanti, chiusura che, ha assicurato sempre Sgarbi, <non andrà oltre la fine del 2021, saranno gli stessi animali selvatici di Ligabue a garantirlo>.
A causa dell’emergenza Covid l’ingresso alla mostra resta contingentato e sarà consentito a un numero limitato di visitatori ogni 15 minuti. È consigliato quindi l’utilizzo del servizio di biglietteria online. Tutte le informazioni si possono trovare sul sito www.palazzodiamanti.it
Nella foto di Tania Droghetti, Pietro Di Natale davanti al ritratto di Cesarina