DUE DONNE di Paola Bottazzi

Al parco urbano un pomeriggio come tanti.

Due donne siedono sulla panchina di fronte al piccolo laghetto artificiale.

I loro sguardi sono rivolti al placido specchio d’acqua, in cui si riflettono pigre nuvole. Il cielo è di un azzurro accecante e l’aria limpida accende i colori della primavera appena iniziata.

L’una accanto all’altra immobili e silenziose mostrano la stessa corporatura esile e minuta.

La giovane con un gesto meccanico allontana dal viso alcune ciocche bionde scompigliate da un’improvvisa folata di vento. I capelli a caschetto dal taglio lineare le ricadono sulle spalle e incorniciano un viso dalla forma ovale, labbra carnose e dal colore rosso vivo, come la moda del momento suggerisce, accentuano un incarnato pallido, forse dovuto all’inverno appena trascorso. Grandi occhiali scuri nascondono gli occhi e gran parte del volto.

Lei si gira verso la donna che le siede accanto, di profilo il suo naso aquilino si mostra in tutta la sua austerità. La osserva a lungo in silenzio. Il suo viso si fa cupo, i muscoli si contraggono in una smorfia di dolore e un tremito appare sulle sue labbra, come se un velo di tristezza fosse stato calato all’improvviso cancellando in un attimo la serenità di una giornata tiepida di inizio primavera rallegrata dal cinguettio degli uccelli e dai profumi della natura.

Continua a osservare la donna accanto a lei che appare del tutto indifferente a ciò che la circonda. I radi capelli grigi e opachi ormai hanno perso da tempo la lucentezza della giovinezza, curati nel taglio maschile, incorniciano un viso emaciato e solcato da profonde rughe frutto del trascorrere degli anni tra gioie e dolori. La fronte corrucciata e la bocca contratta svelano una profonda sofferenza.

La giovane prende la mano tra le sue, e l’accarezza dolcemente.

Non accade nulla, lo sguardo della donna rimane fisso nel vuoto come se il mondo all’esterno di lei non la riguardasse.

La ragazza si toglie gli occhiali e qualche lacrima le solca il viso.

«Mamma, andiamo, inizia a fare freddo»

La donna non risponde, pare non aver udito quel dolce richiamo, come se ormai appartenesse a un mondo lontano e irraggiungibile.

«Mamma, sono io, è ora di andare».

Nulla. Nessuna risposta. La ragazza si alza e afferra delicatamente il braccio della donna incitandola ad alzarsi. Finalmente la donna le rivolge lo sguardo, i suoi occhi chiari sono spenti, come se avessero perso da tempo la brillantezza della pulsione vitale.

Si fa guidare docilmente dalla ragazza abbandonandosi alla sensazione di un ricordo non più consapevole, ormai cancellato da una malattia che ha inghiottito tutto il suo essere. La giovane la prende sottobraccio e le due figure s’incamminano verso l’uscita del parco.

Il venticello primaverile scuote l’esile figura dell’anziana che avanza lentamente come un automa, incespica, la giovane la sostiene gentilmente ma con forza. Un passo dietro l’altro, avanti, ancora e ancora nonostante le avversità. La ragazza si erge diritta e salda come una roccia, ora è lei il suo sostegno, il suo tutto, la custode dei ricordi di una vita condivisa.

Le foglie dei grandi pioppi al lato del viale si muovono alla fresca brezza del pomeriggio inoltrato, la ragazza si ferma e con gesto amorevole allaccia il cardigan alla donna e con cura le avvolge l’esile collo con un colorato foulard restituendo all’anziana un’aria allegra e un tantino aristocratica.

In quel momento un cagnolino dal manto rossiccio si avvicina alle due donne, l’anziana come ridestata da un sogno profondo lo guarda con curiosità, all’improvviso il suo viso s’illumina irradiato da un sorriso senza fine. Le profonde rughe svaniscono cancellate dall’improvvisa gioia infinita. Una luce compare nei suoi occhi che ritrovano la vitalità di un tempo ormai lontano mostrando una bellezza fuori dal comune.

Che meraviglia. Quanto era bella ora.

Ecco è così che ricordava la madre, prima che la malattia l’avviluppasse nelle sue spire, togliendole tutto un giorno dietro l’altro, anche la dignità e la speranza.

Oggi è stata una bella giornata.

Sigillerà nel cuore il ricordo di questo giorno speciale, sarà un aiuto prezioso nei giorni bui a venire.

(Paola Bottazzi)