Il regalo

Quando arrivo in aeroporto la prima cosa che noto è la mancanza assoluta di decorazioni natalizie, come se oltre che una diversa legislazione qui si applicassero regole diverse anche al normale ritmo della vita. I negozi non hanno ghirlande appese e sulle sedute dei bar non brillano lucine variopinte. Quando mi tolgo gli auricolari che ho tenuto per tutto il viaggio però, mi rendo conto che gli altoparlanti stanno diffondendo “Santa Claus is coming to town”, e allora mi sento tra lo stupido e il rincuorato. Mentre aspetto la navetta ne approfitto per accendere una sigaretta, l’ultima per un bel pezzo perché i miei non sanno che ho incominciato a fumare. Non ci vediamo da tanto, per Pasqua non sono tornato come di consueto perché la mia ragazza ha insistito affinché la passassi con la sua famiglia, e io ho acconsentito subito dato che in fondo non mi dispiaceva l’idea; inoltre mi lusingava il fatto che dopo solo due mesi di relazione lei volesse presentarmi ai suoi. Alla fine non siamo arrivati al mese successivo come coppia, e quando l’ho detto a mia madre per telefono la sua prima reazione è stata di rimprovero per aver preferito “quella là” ai miei genitori. Sono sicuro che non mancherà di ricordarmi la cosa, in questi giorni.
Arrivo in città che è ora di pranzo, la navetta mi scarica poco lontano da casa e percorro il tragitto guardandomi intorno un poco stranito, il trolley che sobbalza sulle buche dell’asfalto. Constato che la panetteria sotto casa mia ha chiuso i battenti – “Cessata attività”, dice il cartello appeso sulla prima vetrina; “Vendesi” quello sulla seconda –, mentre il negozio di articoli per il bagno è stato rimpiazzato da una libreria per ragazzi. Apro la porta di casa con il mio vecchio mazzo di chiavi e subito mia madre compare sulla soglia, come al solito festosa al punto da mettermi in imbarazzo. Mio padre non è in casa, dice, è andato a prendere gli ultimi regali. L’odore di sugo arriva fino all’ingresso. Rannicchiato sulla poltrona c’è il gatto, che non dà segno di voler imitare mia madre, perciò vado ad accarezzarlo io. Noto che gli si è ingrigito il muso e per qualche motivo le vibrisse sono più pendenti di quanto ricordavo. L’albero di Natale invece è nello stesso posto di sempre, accanto alla tv, e potrei elencare a memoria ognuna delle palline di plastica appese.
Vado in quella che era camera mia per mettere giù il trolley, e nonostante mia madre abbia fatto arieggiare la stanza non posso fare a meno di avvertire una spiacevole sensazione di stantio nell’entrare. Ci sono le foto della laurea e il diploma di maturità appesi alla parete, il pelouche che mi ha regalato una mia ex sulla mensola accanto ai libri che leggevo da adolescente. Mentre sto mettendo i pochi vestiti che ho portato con me nell’armadio, sento chiamare il mio nome dalla cucina e istintivamente rispondo in inglese, così, quando raggiungo mia madre ai fornelli, la trovo che scuote la testa con aria affranta, lamentandosi che ormai ho pure dimenticato la mia lingua. Non solo la mia famiglia e la mia città, ma anche l’italiano. La rassicuro che non ho dimenticato nulla, che anzi ancora non ho perso l’accento italiano nel parlare inglese, ma lei, combattiva, rilancia che è molto meravigliata che io non abbia trovato “un’altra scozzese con cui passare anche il Natale”. Io inspiro lentamente e mi sforzo di non controbattere, le domando se la posso aiutare in un qualche modo con i preparativi per la cena, ma lei rifiuta categoricamente. Mi chiede invece di uscire a comprarle la lettiera per il gatto, perché con tutte le cose a cui ha dovuto pensare se n’è proprio dimenticata, e io sono più che felice di avere un pretesto per girovagare un poco. Potrei persino fumare una sigaretta.
Mentre cammino per le strade del centro mi guardo attorno, un po’ stranito dalla sensazione di vivere un deja vu fatto di muri e odori, un po’ felice di trovarmi di nuovo qui dopo tanto tempo. In fondo, non mi sento a casa in questo luogo più di quanto non mi ci senta a Edimburgo. Quando chiedo la lettiera al commesso del grande negozio di animali, questo mi dice di ripetere ed io mi chiedo se il mio accento ora non suoni straniero anche in italiano.
La mia città natale è piccola, ordinata, eppure più chiassosa della capitale in cui vivo ora. Percorro una strada di ritorno diversa da quella di andata perché voglio rivedere più che posso, eppure, nonostante la folla che si affaccenda per le compere last minute, non incontro nessuno che conosco. Mentre aspiro avidamente la seconda sigaretta, mi domando se ai miei piacerà il mio regalo di Natale.
Al rientro trovo mio padre in salotto: sta incartando un grande pacco squadrato con evidente difficoltà, lamentandosi vivacemente con il gatto, e non si accorge nemmeno della mia presenza perché la tv sta riproducendo musica natalizia a tutto volume. Gli urlo un saluto, sbracciandomi, e alla fine mi nota. Anche se non smette di armeggiare col pacco per venirmi a salutare, si illumina in viso nel vedermi. Mi chiede se non sono felice di godermi un po’ il tempo più mite dell’Italia, proprio nella stagione più fredda, ma al contrario di mia madre non c’è nessuna nota recriminatoria nel suo tono.
Alla base del mio trasferimento non c’era nessun motivo particolare, dopo la laurea avrei potuto tranquillamente trovare da lavorare anche qui, ma per una qualche ragione ho deciso di partire per un paese straniero. La scelta è ricaduta sulla Scozia quasi per caso – tra tutti i paesi anglofoni, perché non parlo nessun’altra lingua se non l’inglese – ma avevo trovato un posto vacante anche in Australia. L’unico motivo per cui ho deciso di rimanere in Europa era la certezza che i miei avrebbero trovato un distacco così totale e improvviso troppo grave, quasi un’offesa personale. Ora che ci penso, credo che abbiano preso l’aereo soltanto per la loro luna di miele a Parigi. Mia madre non ha mai avuto la smania di viaggiare, vedere posti nuovi, musei, rilassarsi in una spiaggia lontana. Ricordo che quando ero bambino passavamo i weekend a casa di amici, a sagre di paese, a volte semplicemente in casa, in pigiama fino a ora di pranzo. Non so se fosse anche l’aspirazione di mio padre, ma non è mai sembrato pesargli.
Vado di nuovo da mia madre a offrirle aiuto, che rifiuta ancora caparbiamente. Allora torno da mio padre e gli domando se posso aiutarlo con i pacchi, ma anche lui rifiuta. Sfiancato dal loro stoicismo e vagamente offeso, mi siedo allora sul divano con un quotidiano aperto sulle ginocchia. Non leggo mai quotidiani cartacei in Scozia, né li leggevo prima di partire, perciò per una volta provo qualcosa che non sappia di deja vu. Sono quasi a metà quando mio padre mi raggiunge sul divano, e io vado nel panico perché temo che senta l’odore di fumo sui miei vestiti. Mi domanda invece che cosa ne penso della libreria che ha aperto al posto del calzolaio, e io replico attonito che credevo ci fosse un negozio di articoli per bagno.
«No, quello era prima» fa lui, meditando. «Eri già partito quando ha chiuso? Mi pare sia stato più di due anni fa.»
Io non rispondo, sentendomi vagamente in colpa, al che lui comincia a scorrere qualcosa su un tablet che non sapevo nemmeno avesse e io riprendo a leggere il giornale. La musica natalizia a tutto volume mi dà fastidio, ma prima che calasse il silenzio tra me e mio padre non me n’ero nemmeno accorto.
«Senti» dice dopo un po’. «Non è che me ne daresti una?»
Lo guardo con aria interrogativa.
«Di sigaretta.»
«Ma che dici? Io non fumo.»
«Nemmeno io.»
«E allora perché vuoi una sigaretta?»
«Ogni tanto fumo un sigaro con i miei colleghi. Tua madre è raffreddata, non se ne accorgerà mai.»
Faccio un verso di assenso mentre mi alzo per andare in giardino, la fronte aggrottata per la vergogna di essere stato beccato così, dopo neanche un’ora di convivenza. Mio padre si accende una delle mie Marlboro come se fumasse da una vita, tanto che mi domando se non lo faccia a nostra insaputa da sempre.
«Sai, stavo pensando di comprare un camper quando vado in pensione.»
Lo guardo fumare con evidente piacere, lo sguardo alto nel cielo terso. Sì, sarà felice di ricevere un biglietto per Edimburgo come regalo di Natale.