Trasfigurazioni poetiche nella poesia di Sara Simonin


Quello che vedevo ero Io
nello stomaco
mareggiare le braccia
pizzichi alle guance
Moti di terra
le piante.
Quello che vedevi eri Tu
disperata salvezza di capelli
innocenti e lunghi
Portale in fiore
di un giardino
che volevi segreto.
Così, eravamo,
Dritti negli occhi
In un bistrot.
Non dovrebbe venire la sera
A galleggiare nera sulla via
Stanno nel secchiaio
A lucidare il sale
Le mani sui piatti sporchi
E una freccia trapassa il fianco
Come a confermare
l’esistenza
dei soli che siamo.
I suoi polsi lunghissimi
asciutti da poco
D’oro
spaccati e solcati da vene
Intrecciate dalla nascita
Invasori di pelle morbida
istituiti naturali dopo il loro passaggio
fino al tempo concesso dal vento e dall’acqua.
Continuità di ferite
che lasciano segni su pollici
di baristi incazzati
Fratello
mentre altri passano il finire dell’anno a cercare
bollicine di cappe
Dentro di Te.