SAPER GUARDARE LONTANO di Nicoletta Zucchini

SAPER GUARDARE LONTANO

(terzo episodio)

da La crosta e la mollica

di Nicoletta Zucchini

Il padre di Cesarino era un uomo alto e ben piantato, aveva una fronte molto, molto spaziosa e una risata possente e contagiosa, che riusciva a distogliere chiunque dai pensieri tristi, quando raccontava con voce baritonale barzellette e aneddoti buffi. L’ingegner Amedeo Borghi ricopriva un ruolo di grande responsabilità nel Consorzio della Grande Bonifica Ferrarese. Sul lavoro, ai colleghi, diceva spesso che era necessario: «Saper guardare lontano…» Affermava ciò con convinzione e anche a casa e Cesarino lo ascoltava, quasi sempre, pieno di ammirazione.

Una sera prima di cena erano andati a fare un giro in bici quando, arrivati lungo la sponda di un largo canale, il padre si fermò e si girò per vedere se il figlio lo seguiva, dalla custodia appesa al collo estrasse il binocolo e incominciò a guardare lontano lungo le rive: voleva mostrargli un airone immobile sulla sponda del corso d’acqua con le lunghe zampe a mollo nella fanghiglia. «Ora capisco cosa intendi quando dici che bisogna saper guardare lontano! ma io come faccio senza binocolo…ce l’hai sempre tu!» sbottò Cesarino. A quelle parole l’ingegner Borghi, sorpreso dal fraintendimento, proruppe in una fragorosa risata, poi si fece pensieroso: «Com’è facile cadere negli equivoci, soprattutto fra persone della stessa famiglia. Basta un nonnulla per incrinare un rapporto che si crede limpido e lineare.» Inspirò a fondo, tossicchiò per scuotersi da quei pensieri, poi impugnato il binocolo, lo porse al figlio e gli chiese:

«Guarda laggiù, cosa vedi?»

«Vedo un ponte» rispose Cesarino.

«Dimmi com’è, … com’è fatto!» insistette il padre.

«È un ponte di pietre rosse…si insomma di mattoni rossi».

«Guarda meglio, sii più preciso, dimmi cosa vedi!» ribadì con insistenza l’ingegnere.

«Ma non c’è niente da vedere, c’è solo un ponte e a dire il vero è un po’ malconcio» ribadì stizzito il ragazzo.

«È vero Cesarino, tutti quelli che guardano questo paesaggio, dicono che non c’è niente da vedere, perché pensano che tutto ciò che vedono sia sempre stato così fin dall’origine dei tempi, che tutto sia naturale. Ora prova a riguardare e rifletti: chi ha fatto il ponte, chi ha scavato il canale, che ci passa sotto? Come hanno fatto a scavarlo, perché hanno dovuto scavarlo? Se uno passa di qui, guarda ma non li vede davvero, gli sembra che siano sempre stati lì il canale e il ponte! La fatica di chi li ha scavati con la sola forza delle braccia non si vede. Non si vede l’acqua che ristagnava nelle terre e formava un pantano paludoso. Non si vede l’impossibilità di coltivare la terra. Non si vede la fame che urlava dentro le pance della gente affamata e disperata. Questi campi verdi non ci sarebbero senza la forza, la volontà e la fatica disperata dell’uomo. Vedi lo stemma in cemento sulla spalla del ponte? È il simbolo del Consorzio della Bonifica Ferrarese, è l’ente per il quale lavoro». «Si papà li vedo» fece Cesarino con voce poco convinta. Era perplesso, aveva ascoltato con attenzione suo padre, ma non aveva capito gran che, voleva comunque accontentarlo, sentiva che ci teneva così tanto a quelle robe lì!

Una volta l’ingegner Borghi aveva lasciato a casa, sul tavolo dello studio, il binocolo e il cannocchiale perché quel giorno non gli sarebbero serviti. Cesarino in cerca di qualcosa d’interessante da fare gironzolava nelle vicinanze, la porta dello studio era socchiusa e la sua attenzione fu attirata da quegli aggeggi che si intravvedevano dallo spiraglio aperto. Entrò di soppiatto e subito incominciò ad armeggiarci. Aprì la custodia, estrasse il cannocchiale e mentre pregustava di trasformarsi nel Corsaro Nero che scruta i pericolosi flutti del Mar dei Sargassi, dal vetro della lente si staccò un foglietto, che finì a terra ondeggiando lentamente nell’aria. «Appunti di lavoro» pensò; invece che sorpresa quando vi lesse queste parole:

Lenta dai campi sale la nebbia

ad ogni respiro riempie lo sguardo

di lontano svela case sparse

franate nel silenzio dei giorni

si profilano come cime di montagne

irraggiungibili dopo la burrasca.

All’orizzonte beccheggiano

come piroscafi di migranti

con il loro carico di storie indicibili

e nell’ordito di pietre grattugiate dal tempo

conservano mute l’antico nome.

Case, orfane d’abitanti

che vivono storie nuove in altri luoghi e

dell’antico guscio conservano ancora un odore

un abbaglio luccicante in uno specchio rotto

un rumore di porte sbattute al vento d’aprile.

Com’erano strane e sorprendenti quelle frasi scritte dal suo papà, ma erano proprio scritte da lui? Si, ne riconosceva la calligrafia ordinata e regolare di chi è abituato all’uso del normografo: non c’erano dubbi. Eppure stentò a leggere quei segni, perché a mano a mano che li decifrava, il significato delle parole gli rimandava un’immagine sconosciuta del padre e piano, piano gli si delineava nella mente la figura di uno straniero, naufragato or ora sul pavimento dello studio.

Cesarino, seduto a terra, gambe incrociate col cannocchiale sulle cosce, sollevò più volte quel foglietto, lo lesse e rilesse a più riprese, c’era qualcosa che non riusciva a capire. Suo padre ora gli appariva lontano, come in balia delle onde su un piroscafo con un alto fumaiolo.

Quelle parole uscite da chissà dove, gli restituivano un padre diverso, una persona nuova a lui sconosciuta.

«Guardare da lontano…è…come… vedere le persone in modo diverso, ma guardare da lontano non è come dice papà, che ripete sempre che bisogna saper guardare lontano. Saper guardare lontano, saper guardare lontano…» ripeteva Cesarino a sé stesso, come una nenia a voce bassa «Per guardare da lontano serve il cannocchiale, ma per saper guardare lontano, che cosa serve? forse saper guardare lontano non ha a che fare con i posti e con lo spazio, ma…con qualcos’altro, non so, non riesco…forse ha a che fare con il saper vedere con il cuore, con l’avere delle visioni sul futuro della gente? boh!» Poi, per trarsi d’impaccio da quei pensieri più grandi di lui, impugnò il cannocchiale, sguainò il suo spadino di plastica e con un balzo saltò sul divano di pelle nera dello studio e urlò: «All’arrembaggio miei prodi! il Mar dei Sargassi ci aspetta!»

(Nicoletta Zucchini, La crosta e la mollica ovvero Le avventure di Cesarino, Nuove Carte, 2013)