L’ALBERO DELL’AMORE

La luce del pomeriggio pioveva obliqua attraverso i polverosi finestroni dello studio, carezzando d’oro il corpo nudo di Erika.
La mansarda era in larga parte occupata da tele e cornici poggiate disordinatamente alle pareti o adagiate sul pavimento: nature morte, ritratti, paesaggi che componevano un confuso piccolo anfiteatro attorno al letto, collocato artisticamente al centro del locale. Distesa languidamente, prona, sulle lenzuola stropicciate, il capo abbandonato fra le braccia incrociate, la ragazza attendeva estatica che Raul portasse a compimento il suo piccolo capolavoro.
Il pennello di Raul si muoveva lento, sicuro come un piccolo serpente, sopra la pelle della schiena di Erika, traendo da un dedalo di segni scuri l’immagine nascente di un albero.
«Le radici sono ben piantate nella terra» commentò in un sussurro il pittore, «così come saldo è l’amore che ci lega». In risposta, la ragazza mugolò e lasciò che i lunghi capelli castani scivolassero di lato a rivelare gli occhi dolcemente chiusi e il sorriso rapito.
Raul non interruppe un solo istante la propria opera, continuando ad attingere ai colori più scuri della sua tavolozza per innalzare tronco e rami. Sul suo viso era accesa la viva luce dell’ispirazione.
«Come il nostro amore» bisbigliò, «l’albero si innalza al cielo, forte e vigoroso…»
Erika si lasciò sfuggire un risolino, ondeggiando sensualmente i fianchi.
Il pennello continuò a scivolare, con infinita dolcezza, sulla sua pelle. Propaggini brunastre presero a dipartirsi dal tronco per dar vita a un intrico di rami spogli, contorti, ripiegati ad artiglio verso le proprie radici. Il sussurro di Raul parve voler disseccare in un soffio la vernice sopra i pori.
«Ma tutto, è evidente, prima o poi deve morire. Non è così, amore?»
Erika rispose con un gemito sommesso, prolungato. Girò il capo, negandolo alla vista. Raul insistette, tracciando con sapienza sulla pelle un groviglio di lignee contorsioni. Sciami di candidi puntolini di polvere veleggiavano inquieti attraverso i veli della luce che grondava su di loro.
«Non hai proprio potuto fare a meno di fare quello che hai fatto, vero?» La voce di Raul era adesso quasi un sibilo. «Dovevi proprio concederti a quel… a quel bastardo… Dovevi proprio disseccare l’albero del nostro amore…»
Erika si contorse nel letto, ripiegando la bocca in una smorfia. Un piagnucolio sommesso prese a sgorgarle dalla labbra socchiuse.
L’effetto della morfina sta per svanire, considerò tra sé Raul. Presto arriverà il dolore…
La ragazza sollevò un poco le spalle, nel debole tentativo di districarsi dall’appiccicaticcio viluppo delle lenzuola insanguinate. Le scapole e la colonna vertebrale fremettero sotto i fasci muscolari messi a nudo dall’opera accurata del rasoio.
Con un sorrisetto compiaciuto a stirargli le labbra, Raul distolse lo sguardo da quella macabra forma sinuosa e tornò a dare gli ultimi tocchi di colore ai rami dell’albero dipinto sulla larga porzione di pelle ancora calda, tesa sopra un cavalletto, fissata con una manciata di chiodi.
(Pubblicato su Mystero – nov. 2002)