LA LETTERA DAL PASSATO di Nicoletta Zucchini

cesarino

LA LETTERA DAL PASSATO

ottavo ed ultimo episodio

da La crosta e la mollica

di Nicoletta Zucchini

«Aaahooo!» avevano urlato tutti insieme sprofondando ai piedi dell’ippocastano. Niz e Cesarino erano finiti con le gambe dentro ad un buco profondo e così conficcati a terra e rossi in faccia con i capelli dritti per lo spavento, sembravano due carote giganti. Mauz e Dando doloranti giacevano a terra in posizioni scomposte, come chi ha preso una forte scossa elettrica, invece Blando precipitando a capo fitto, aveva infilato la testa nel buco e il suo corpo sembrava quello di un fantasma decapitato.

Ci vollero un bel po’ di «Ohi ohi! Ahi ahi!» prima che ognuno si riprendesse dallo spavento. Fortunatamente nessuno si era fatto male, toccandosi, constatarono che tutte le ossa erano sane, solo qualche abrasione appariva nei punti più esposti della pelle, mentre i loro musi sudici grondavano di sudore freddo, che colando dalla fronte si impastava con la polvere appiccicandosi alla pelle. Ancora qualche attimo di silenzio per lo spavento e la sorpresa, poi esplose un fuoco di domande: «Che è successo? Un buco, perché un buco proprio qui, e chi l’avrà scavato?»

Mille ipotesi, ma nessuna risposta certa.

«Proviamo a ripulire la buca dal terriccio che c’è crollato dentro, così vediamo meglio quanto è fonda e se per caso c’è qualcosa dentro» fece Cesarino. Tutti e cinque iniziarono a darsi da fare a mani nude, all’inizio con foga, poi con sempre maggiore cautela ed ecco affiorare un lembo di tela cerata, tolsero ancora materiale tutt’intorno, qualcosa emergeva sempre più: era un sacco incolore.

Vista da lontano la scena sarebbe apparsa all’incirca così: cinque corpi dalla cintola ai piedi, intorno ad un cratere, eruttavano materiale di vario genere lanciandolo a raggera. Da quella fase eruttiva si era formata una specie di atollo intorno a quel penta-corpo, immerso per metà nel camino vulcanico. Dopo tanto lavoro, il sacco era ormai, quasi completamente libero, con un ultimo sforzo lo issarono sul prato circostante. Silenti, molti interrogativi sfrecciarono nelle loro menti confuse e stupite, con mani frenetiche ripulivano l’involucro dagli ultimi detriti. Completamente ammutoliti erano consapevoli che qualcosa di ineluttabile e di definitivo stava per succedere. «State larghi!» fece imperioso Cesarino «e se c’è qualcosa di pericoloso? potrebbe esserci roba dell’ultima guerra… e se ci fossero armi o una bomba? State lontani, mettetevi al riparo! lo so io come si deve fare in questi casi!» Gli amici si allontanarono timorosi, Cesarino si stava inventando una sicurezza che non aveva, ma la sua curiosità, tenuta a bada da una discreta lucidità, gli faceva compiere gesti cauti e determinati. Dalla profondità del tempo apparve una cassetta di lamiera arrugginita, assomigliava ad una di quelle per gli attrezzi da meccanico. Dopo diversi tentativi riuscì a sbloccare le due chiusure a sciabola, cercò di sollevare il coperchio, ma non ci riuscì. Intervenne Niz: insieme fecero una forte pressione sugli angoli, che cedettero a fatica con un lieve rumore. Il coperchio, finalmente, fu alzato pian piano. L’interno conteneva un fagotto avvolto in un panno marrone, abbastanza morbido al tatto. I due, lo sollevarono, guardandosi fissi negli occhi. Sudavano freddo. Non era pesante, questo li rincuorò. Svolsero il fagotto e apparve una scatola più piccola, con la base ovale, di forma perfetta non presentava alcuna ammaccatura, anzi, sembrava abbastanza preziosa, non troppo arrugginita, da nuova doveva essere stata argentata, perché conservava chiazze di quella finitura. Cinque teste, dieci occhi fissavano la scatola di un’eleganza un po’ pretenziosa, non sembrava pericolosa, un tempo forse aveva contenuto dolcetti o biscotti raffinati. Qualcuno l’aprì lentamente: apparve un velo di seta azzurra. Qualcuno sollevò il velo, sotto c’era un’imbottitura di ovatta. Qualcuno, fiocco dopo fiocco, tolse l’ovatta. Prima apparve un bottoncino nero, poi qualcosa di rosso, poi ancora due bottoncini di cristallo, infine qualcosa di rosa dentro due orecchiette tonde.

«Ma è un orsetto! – proruppero tutti insieme- ha qualcosa fra le zampe!»

Niz allungò le braccia, prese fra le mani il pupazzo, lo guardò da vicino fissandolo intensamente, si sentiva invaso da mille interrogativi, Cesarino intanto aveva sfilato il foglio di carta ingiallita, che il peluche teneva fra le zampette. Trattenendo il fiato, Mauz, Dando e Blando gli stavano intorno con gli occhi sgranati, quando Cesarino iniziò a leggere.

Caro Bubu,

tra poco verranno a prendermi.

Non so quando, ma vedrai che presto verranno a prendermi.

Non so dove andrò, ma dove mi porteranno

non c’è posto per gli orsetti di peluche come te.

E anche se ci fosse, io non voglio che tu venga con me.

Non voglio che ti capiti nulla di male…ti voglio bene.

Mi sei stato amico, mi sei stato compagno di giochi,

mi hai sopportato quando ti facevo i dispetti,

mi hai riscaldato quando c’era freddo.

Mi hai fatto compagnia nelle sere di nebbia e di tempesta.

Mi hai protetto contro i mostri della notte.

Ho paura di non riuscire a proteggerti da nessun mostro

e non so neppure se riuscirò a tornare.

Tu mi hai fatto coraggio al risveglio dagli incubi,

dopo un sonno agitato o durante la febbre.

Solo nel mio letto ti abbracciavo,

nell’oscurità accarezzavo il tuo mantello morbido,

toccavo i tuoi occhi di cristallo che non si chiudono mai

e mi riaddormentavo sereno.

Ti voglio bene, non posso portarti dove andrò,

lo capisci? Perché non resisterei.

Per resistere ho bisogno di sapere che sei qui al sicuro,

che nessuno verrà a farti del male,

che mi aspetterai tranquillo come quando si dorme sereni,

e si sognano gli amici, di essere come loro, tutti uguali.

Oggi invece io non sono sereno.

Sembra che qualcuno di noi sia diverso, ma che cosa vuol dire?

Di cosa devo avere paura? Di cosa ho colpa? Non lo so.

Ma tu non avere paura, caro amico, ti metto al sicuro

in questo nascondiglio segreto,

dove nessuno può trovarti e farti del male.

Così saprò sopportare, forse,

e forse riuscirò a trovare

la forza e il modo per tornare da te.

Ti voglio bene, ciao per sempre.

Shalom a tutto il mondo.

Giorgio

data illeggibile, solo due cifre…43