Vagabonding

(Seconda puntata del mio taccuino inedito “Mi prendo un anno sabbatico”, viaggio alla riscoperta del tempo perduto, ottobre 2016)

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«Vagabonding – (1) L’azione di lasciarsi alle spalle il mondo ordinato e viaggiare in modo indipendente per un lungo periodo di tempo. (2) Un modo di viaggiare rilevante per ogni individuo che pone l’enfasi sulla creatività, l’avventura, la consapevolezza, la semplicità, la scoperta, l’indipendenza, il realismo, l’autonomia e la crescita spirituale. (3) Una scelta consapevole di vita che rende possibile la libertà di viaggio» (R. Potts, Vagabonding, Ponte alle Grazie, Milano, 2003, p. 7).

In queste accezioni, il “vagabonding” è un atteggiamento che si presta sia ad un viaggio itinerante, nello spazio, sia ad un “viaggio” nel tempo.

A proposito del tempo

Mi piace insegnare, lo faccio da 25 anni con passione.

Penso che l’insegnamento sia una sfida. C’è molto da imparare dai bambini: ogni persona che entra in aula – con la curiosità e la voglia di essere ascoltata e magari ‘compresa’ – è un piccolo miracolo. Scoprire insieme ai bambini gli strumenti per decodificare i linguaggi del mondo, apprendere con loro la fiducia (in se stessi e negli altri), è un’opportunità grandiosa. Ma la nostra scuola italiana – con tutta la sua burocraziadocumentidacompilareprogrammiriunionincarichiformalitàblablabla – a volte è soffocante. Spesso il dovere finisce per prevalere sul piacere. E al giro di boa dei 25 anni di insegnamento (nozze d’argento), sento il bisogno di ritrovare “entusiasmo” (una parola magica per me), oltre al… tempo.

Questa parola che continuamente condiziona lavoro e scelte: il tempo, per Rolf Potts, è «il nostro unico bene (R. Potts, Ibidem, p. 20)».

«Parlare del tempo con i bambini è importante – suggerisce Paolo Crepet – perché nella nostra vita è diventato una cosa rara e sconosciuta: più ne abbiamo a disposizione e meno sappiamo impiegarlo. È quindi necessario insegnare loro che perdere tempo significa riempire di senso un agitarsi frastornato e vano. Occorre che sappiano che il tempo è luogo di comunicazione, transito di affetti, crocevia di emozioni; che è silenzio, sguardo, ascolto; che è regno dei sensi, dove tatto, gusto, manualità tornano a centrare un’esistenza distratta.

Il tempo è curiosità delle diversità, è immaginarle e riempirle di fantasia, è passaggio segreto di desideri. Ma anche solitudine, a volte disincanto.

Se riusciamo a dare il tempo ai nostri bambini, insegneremo loro a cercarlo, a conservarlo, così forse, potranno inventarsi una vita meno scontata (P. Crepet, Non siamo capaci di ascoltarli, Einaudi, Torino, 2001, p. 22 e 25).

E ancora: «Saremo capaci di non lavorare senza sentirci in colpa? (…) Perché i bambini di oggi possano essere uomini e donne ‘sentimentali’ di domani occorre che la scuola non sia più finalizzata unicamente alla costruzione di un’identità basata sul lavoro, ma anche sul non lavoro.

Gli insegnanti dovrebbero educare i loro bambini a perdere felicemente e senza sensi di colpa il loro tempo. Finalmente la nostra comunità non giudicherà più i suoi cittadini solo dalla carriera che hanno fatto e dai guadagni percepiti, ma anche dalle loro capacità relazionali, dalla loro abilità a trasformarsi in risorse emozionali».

E allora ci provo: tento di fermare l’ingranaggio.

(To Be Continued)…