Il viaggio di Rita Marconi – La città alle spalle, con il sole negli occhi, sulla scia di un volo d’argento, ignorando il crocicchio, comincio a scendere verso il mare
Il racconto breve “Il Crocicchio” , già pubblicato nell’Antologia “Pensieri d’autore” a cura della casa editrice Ibiskos, ci riporta nella dimensione del viaggio dell’autrice Rita Marconi.
Il crocicchio
Quelli come me, che si perdono per la strade del mondo, sono
turisti mancati.
Escono dal loro alloggio con la piantina della nuova città, chiusa sotto il braccio e fermano i passanti per strada ripetendo la solita domanda: “scusi, dove si va per Piazza Italia?”. “Guardi”, ti rispondono con gentilezza, “lo vede quel semaforo laggiù? Bene, vada sempre dritto e poi…”. E poi eccomi persa al primo incrocio, dove quattro vie tutte uguali si incontrano e una sola è la via giusta, già, ma quale?
In fondo, un crocicchio non è altro che l’incontro casuale di strade che vanno in direzioni opposte, potrebbe pure essermi indifferente, se non fosse che per caso devo attraversarlo. E se restassi qui? Ripercorro al contrario i pochi metri intrapresi verso il centro, mentre ripenso al programma messo a punto la sera precedente: Piazza Italia, visita al Museo, veduta panoramica, galleria d’arte, passeggiata e colazione sul lungomare di Trieste. Tornata sui miei passi, scaccio il calore delle ore mattutine facendomi aria con la piantina della città, che ora mi torna utile, e provo un senso di impercettibile sollievo.
Guardo in su, verso le facciate eleganti dei palazzi, eccomi tornata al punto di partenza. Intanto il viale si sveglia. E’ incredibile il brulicare che torna ogni giorno sotto i portoni di quartiere. Mentre il gatto si stira sullo zerbino, entro nel piccolo bar all’angolo, che avevo intravisto dalla finestra della mia pensione, attirata da un irresistibile odore di caffè. Prendo posto ad un tavolino che da sulla via. Gelosa del vassoietto apparecchiato per me con tazzina e piattini argentati, scorro distratta il quotidiano locale, con la squadra di calcio in Serie C, e sono quasi contenta del mio non far nulla.
Solo uno sguardo di fuori.
L’edicola attira i passanti con le copertine lucide dei gossip, un cameriere pulisce i tavolini al Caffè di fronte, qualcuno si scambia un saluto. Queste persone non si perdono mai, ovvio, sono del posto, conoscono i muri di casa, ma forse anche loro non vanno oltre il semaforo all’angolo, dove una strada sconosciuta li allontana da qui.
Una mano frettolosa porta via il prezioso vassoietto ormai vuoto. Mi alzo a malincuore. Nell’uscire accarezzo il gatto, che senza muoversi mi fa le fusa. Dove andrò in questo giorno d’estate?
Abbagliata dal sole, socchiudo gli occhi e nella stretta fessura tra le ciglia, un volo di gabbiani segna un pezzetto di cielo. Infilo le mani nelle tasche e mi accorgo di aver dimenticato la piantina della città, forse sul tavolino del Caffè: ma quale strada prenderà un forestiero che ha perso la guida?
Distratta da questi pensieri, continuo a seguire con lo sguardo le ali argentee del gabbiano, confusa nei sensi, dove ronzano ancora all’orecchio le fusa ormai lontane del gatto, il tintinnio delle stoviglie lasciate di fretta sui banconi, il parlottio estraneo della gente e infine, lo stridulo richiamo del gabbiano.
Abbandono le mani nelle tasche vuote e soprappensiero, la città alle spalle, con il sole negli occhi, sulla scia di un volo d’argento, ignorando il crocicchio, comincio a scendere verso il mare.
turisti mancati.
Escono dal loro alloggio con la piantina della nuova città, chiusa sotto il braccio e fermano i passanti per strada ripetendo la solita domanda: “scusi, dove si va per Piazza Italia?”. “Guardi”, ti rispondono con gentilezza, “lo vede quel semaforo laggiù? Bene, vada sempre dritto e poi…”. E poi eccomi persa al primo incrocio, dove quattro vie tutte uguali si incontrano e una sola è la via giusta, già, ma quale?
In fondo, un crocicchio non è altro che l’incontro casuale di strade che vanno in direzioni opposte, potrebbe pure essermi indifferente, se non fosse che per caso devo attraversarlo. E se restassi qui? Ripercorro al contrario i pochi metri intrapresi verso il centro, mentre ripenso al programma messo a punto la sera precedente: Piazza Italia, visita al Museo, veduta panoramica, galleria d’arte, passeggiata e colazione sul lungomare di Trieste. Tornata sui miei passi, scaccio il calore delle ore mattutine facendomi aria con la piantina della città, che ora mi torna utile, e provo un senso di impercettibile sollievo.
Guardo in su, verso le facciate eleganti dei palazzi, eccomi tornata al punto di partenza. Intanto il viale si sveglia. E’ incredibile il brulicare che torna ogni giorno sotto i portoni di quartiere. Mentre il gatto si stira sullo zerbino, entro nel piccolo bar all’angolo, che avevo intravisto dalla finestra della mia pensione, attirata da un irresistibile odore di caffè. Prendo posto ad un tavolino che da sulla via. Gelosa del vassoietto apparecchiato per me con tazzina e piattini argentati, scorro distratta il quotidiano locale, con la squadra di calcio in Serie C, e sono quasi contenta del mio non far nulla.
Solo uno sguardo di fuori.
L’edicola attira i passanti con le copertine lucide dei gossip, un cameriere pulisce i tavolini al Caffè di fronte, qualcuno si scambia un saluto. Queste persone non si perdono mai, ovvio, sono del posto, conoscono i muri di casa, ma forse anche loro non vanno oltre il semaforo all’angolo, dove una strada sconosciuta li allontana da qui.
Una mano frettolosa porta via il prezioso vassoietto ormai vuoto. Mi alzo a malincuore. Nell’uscire accarezzo il gatto, che senza muoversi mi fa le fusa. Dove andrò in questo giorno d’estate?
Abbagliata dal sole, socchiudo gli occhi e nella stretta fessura tra le ciglia, un volo di gabbiani segna un pezzetto di cielo. Infilo le mani nelle tasche e mi accorgo di aver dimenticato la piantina della città, forse sul tavolino del Caffè: ma quale strada prenderà un forestiero che ha perso la guida?
Distratta da questi pensieri, continuo a seguire con lo sguardo le ali argentee del gabbiano, confusa nei sensi, dove ronzano ancora all’orecchio le fusa ormai lontane del gatto, il tintinnio delle stoviglie lasciate di fretta sui banconi, il parlottio estraneo della gente e infine, lo stridulo richiamo del gabbiano.
Abbandono le mani nelle tasche vuote e soprappensiero, la città alle spalle, con il sole negli occhi, sulla scia di un volo d’argento, ignorando il crocicchio, comincio a scendere verso il mare.
Rita Marconi