Le strenne del Gsf: “Chissà se Miranda verrà” di Roberto Giacometti

LE STRENNE del GSF

il Gruppo scrittori ferraresi

vi propone qualche consiglio di lettura

in prossimità del Natale.

La strenna (fonte Wikipedia) 

La strenna, o strenna natalizia, è un regalo che è d’uso fare o ricevere a Natale o nel periodo natalizio.

Tale usanza discende dalla tradizione dell’Antica Roma che prevedeva lo scambio di doni augurali, durante i Saturnalia, ciclo di festività romane che si svolgevano dal 17 al 23 dicembre, in onore del dio Saturno, e precedevano il giorno del Sol Invictus. Il termine deriva dal latino strēna, vocabolo di probabile origine sabina, con il significato di “regalo di buon augurio”.

Secondo Varrone, l’uso della strenna adottato già dalla prima fondazione dell’Urbe, istituito da Tito Tazio che per primo colse, quale buon auspicio per il nuovo anno, il ramoscello di una pianta (arbor felix) posta nel bosco sacro alla dea Strenia; dalla quale derivò il termine strenae per i doni di vario genere, anche monete, da scambiarsi nelle festività dei Saturnalia.

In campo editoriale, nel XIX secolo, la strenna indicava una raccolta di componimenti in prosa e poesia che veniva posta in vendita a capodanno. Da questa consuetudine deriva la definizione “strenne editoriali” o “libro strenna” per le pubblicazioni poste sul mercato nella prima settimana di dicembre, al principale scopo di fungere da tradizionale regalo per le festività natalizie.

 

Ecco il nostro secondo consiglio per le imminenti festività:

Roberto Giacometti, Chissà se Miranda verrà

di Nicoletta Zucchini


Chissà se Miranda verrà è «una raccolta di racconti eterogenei e atipici rispetto al panorama della produzione editoriale più diffusa», così Roberto Giacometti definisce il suo libro d’esordio, inoltre un suo amico colto e dal gusto raffinato (T. T.), preso dalla meraviglia, saluta la raccolta come «qualcosa di nuovo a Ferrara”, lasciando chiaramente sottinteso «finalmente!» e in aggiunta Diego Marani, nella gustosa prefazione, dichiara apertamente: «Una lettura che è come un viaggio al finestrino di un treno dove quel che vediamo là fuori è per forza tutto vero o forse no e comunque non lo vedremo mai più». Il lettore carico di curiosità non rimarrà deluso dalla prosa stringente e nello stesso tempo fluida dei ventiquattro racconti, ventiquattro perle che nella loro diversità formano un’armoniosa circolarità.

Il libro di Giacometti giunge al momento opportuno a colmare un vuoto, l’industria editoriale è tutta protratta alla pubblicazione di romanzi suddivisi per generi, con il chiaro intento di rispecchiare sempre più fedelmente i gusti dei lettori. Ottenendo così l’effetto di indurre il fruitore ad una certa pigrizia poiché l’appagamento del gusto personale predomina sul desiderio di saggiare nuovi orizzonti. Va dato merito alla piccola e media editoria di essere garanzia di originalità nella qualità: grazie dunque a Paolo Spinello di Apogeo Editore per avere dato fiducia a Giacometti pubblicando Chissà se Miranda verrà.

A differenza del romanzo che comporta un ordine obbligato di lettura, in un libro di racconti, il lettore può decidere liberamente di non rispettare l’ordine di stampa e di affidarsi alla casualità o all’intuizione del momento, moltiplicando così le varie possibilità di fruizione.

«C’è qualcosa di Manganelli in questi scritti di Roberto Giacometti che si srotolano come un caleidoscopio di cartoline d’altri tempi in una narrazione al tempo stesso serrata e sciolta» scrive ancora Marani nella prefazione, aggiungerei che il nostro esordiente sembra raccogliere il testimone lasciato da illustri scrittori (come Italo Calvino, Dino Buzzati, Goffredo Parise…) nei racconti dei quali troviamo sia una vena di esistenzialismo che di surrealismo, ma anche di realismo magico, fino al fantastico. Ciascuno declina la propria creatività in forma originale ed esclusiva.

È inutile chiedersi a chi assomiglia nello stile Roberto Giacometti, assomiglia solo a se stesso e ben si coglie che per raggiungere tale traguardo si è nutrito di letture colte, ma ha anche osservato il linguaggio popolare, giungendo a fabbricarsi una lingua precisa, affilata e quando meno te lo aspetti, sa sorprenderti con il termine inaspettato. I ventiquattro racconti sono suddivisi in: Primo tempo, Intervallo (Ragazzi nel ’38) e Secondo tempo.

Il Primo tempo ha un sottotitolo: «Solo l’allodola quando piove, vola e continua a cantare».

In due semplici enunciati in forma di aforisma, con struggente poesia, Giacometti condensa e svela una filosofia di vita, che è anche l’essenza della sua scrittura. La trama dei racconti parte spesso dalla descrizione di un particolare insolito, marginale, banale, per poi debordare felicemente in divagazioni intrise di amabili ironie disseminate di metafisica sapienza, allora la prosa spicca il volo divenendo lirica, soprattutto nei racconti più brevi, e il piacere per gli elenchi ha qualcosa che sa di Jazz, di swing, spasmodica unità di ritmo sonoro e contenuto. E non ci si stanca di leggere e rileggere. Basta un pacchetto verde di Nazionali da Esportazione per ricostruire l’atmosfera di un’epoca intera, c’è un gusto sopraffino per gli oggetti più disparati accanto a personaggi, poveri diavoli, persone semplici, ma dalla personalità ben definita che potremmo incontrare sull’autobus numero 2 o al parco cittadino, che fa da sfondo al racconto Come accavallano le gambe i grassi da cui è tratto il titolo della raccolta Chissà se Miranda verrà.

Il protagonista è un professore universitario, ama trascorrere la pausa pranzo nel parco cittadino, seduto su una delle vecchie panchine ancora non sostituite da quelle nuove da design, sulle onde di riflessioni confidenziali, quasi intime, ci porta al largo in un mare di ragionamenti in cui è dolce naufragare nell’attesa di Miranda.

La littorina degli eletti, primo racconto della raccolta, ha un incipit senza dubbio ardito, spiazzante, e dice: «L’Artigiano o forse il buon Dio in persona o un suo uomo di fiducia, con un rapido gesto passò il pollice sinistro sulla lama del suo arnese…Prese allora fra due dita il naso della straniera, delicatamente ma con energia, e iniziò a fargli la punta»: già dalle prime battute siamo trasportati in un’atmosfera fra mito e fiaba, quasi un’utopia. Il naso della straniera scolpito con gesti naturali rimanda a Pinocchio, ma qui siamo di fronte a una donna e i trucioli non sono di pino ma di olmo, l’essenza arborea che punteggiava maestosa la pianura ferrarese. L’azione si svolge all’interno di una littorina sulla tratta Venezia – Ciascun Paesello, nell’unità di spazio l’autore crea situazioni differenti, ad esempio La Voce udita da ognuno in lingue diverse ricrea un’atmosfera quasi biblica. Entriamo in un sogno nella rievocazione di una famosissima merceria di Ferrara, purtroppo ora non esiste più, come tutte le cose del buon tempo antico: Ero diventato il re dei bottoni e dei merletti, ogni scena sfuma nell’altra, sempre diversa, con rocambolesca naturalezza.

Nel libro di Giacometti ci sono alcuni racconti più lunghi, racconti matriosca, veri romanzi in miniatura, piccole miniere che, ad ogni rilettura non si finisce mai di scavare e di scoprire nuove perle, sfuggite ad una prima lettura resa frettolosa dall’ansia di godimento.

Anche Resoconto di un viaggio d’affari si può definire racconto matriosca, la scrittura realistica trascolora in scrittura fantastica, in sottile parodia, ogni particolare, ogni azione, ogni gesto vengono descritti con singolare precisione ed originalità, forse bisognerebbe dire che Giacometti non scrive, ma trascrive ciò che lo circonda, compresi i pensieri immateriali che svolazzano per aria, cialtronerie, irregolari vicende della vita normale, sorrisi davanti alla tragedia, solitudini troppo rumorose.

Con la sua scrittura Giacometti ci trascina in una sorta di avventura leggendaria e acrobatica della parola, popolata dalle semplici gesta di eroi quotidiani a volte sulfurei, a volte surreali. Non si limita a giocare con la parola, ma dissemina la trama di indizi, che come tanti piccoli specchi riflettono la sua immagine. Un esempio: Posò a terra il libro di Hrabal senza curarsi che potesse finire sul bagnato.

I personaggi narrati da Giacometti/Hrabal ci si offrono nella visionarietà di vissuti/ricordi, da cui emergono frammenti di spazi di vita, sottratti al mero ordine cronologico, deflagranti in una sorta di magma che oscilla fra comicità e tragedia, fra tempo vissuto o spazio apparentemente sognato, angoli d’esistenza altrimenti inaccessibili, offerti come pensieri onirici, come erratiche divagazioni.

Giacometti ama nascondersi sotto la maschera del vero. Per lui la narrazione è necessità, faticosa conquista della libertà, libertà dalla contingenza, la creatività/fantasia diviene emancipazione dalle circostanze della vita, che a volte sa essere molto aspra…

Nell’esistenza di Giacometti le donne sono un’assenza patita per gli eventi infausti della vita, da cui il titolo Chissà se Miranda verrà, che evidenzia il tempo dell’attesa.

Ora Giacometti non attende più, ha avuto il coraggio dell’incontro nuovo e della serenità ritrovata.

Nel libro sono presenti molte figure di donne, forse anche per la storia biografica dell’autore, hanno il sapore particolare della verità vissuta, della delicatezza ispirata dal desiderio, dell’incanto della diversità, diversità che trasforma la donna in una dea dai calcagni d’oro, l’enigma di essere gemelle, uguali e diverse, la bambina, la nonna con il suo segreto, la vecchia fotografata in un gesto particolare, con la struggente nitidezza che solo lo sguardo dell’affetto sincero può rendere.

Al centro del libro ci sono due storie di giovani ebree di Ferrara. Mai la centralità e la diversità della donna hanno ricevuto una collocazione topologica più significativa. La centralità dell’essere donna e nello stesso tempo la centralità dell’essere diverse perché ebree. La donna per Giacometti non è un complemento narrativo, ma parte integrante del suo essere narratore, del suo essere persona. Anche in Piovendo, nel frammento in cui egli descrive il processo creativo della sua scrittura, al centro c’è la donna.

Ma chi è il protagonista di questo processo narrativo, chi è Roberto Giacometti?

Ce lo rivelano le sue stesse parole: «Mi sento la luna di un pianeta di cui cerco di nuovo il nome, dopo che altri ne ho conosciuti e perduti in orbite buie e lontane. Devo trovarlo prima che il mio sbando sia irreversibile, lungo le tangenti del tempo, di quel tempo di cui indovino la temperatura, ma di cui intuisco il sordo rimprovero».