Andrea Lanfri corre più veloce della meningite
Tania Droghetti
C’è chi colleziona scarpe, Andrea Lanfri colleziona… piedi. Raccontare la storia di un ragazzo che a soli 29 anni viene colpito dalla meningite e perde le gambe e sette dita delle mani non è facile ma l’ironia a volte aiuta e lui, da buon toscano di una frazione di Lucca, di quella ne ha ancora tanta e la si ritrova tutta nel libro Voglio correre più veloce della meningite (edizioni Porto Seguro) che ha deciso di scrivere insieme alla ferrarese Giulia Puviani.
Andrea si è ammalato all’inizio del 2015, è rimasto in coma per un mese, in ospedale per cinque e poi, tornato a casa, ha deciso che doveva riprendersi la sua vita di prima, forse anche qualcosa di più e c’è riuscito visto che nel 2016, grazie alla sua “collezione di protesi”, è diventato un atleta paralimpico, la sua specialità è la corsa di velocità in cui ha conquistato due medaglie di bronzo e una di argento ai Campionati Europei, poi nel 2017 si è portato a casa anche un argento ai Mondiali. E’ stato il primo atleta uomo italiano con doppia amputazione agli arti inferiori a scendere sotto i 12 secondi nei 100 metri piani.
Andrea questo libro è nato in realtà come un diario che hai iniziato a scrivere una volta uscito dall’ospedale, perché poi è diventato qualcosa di più?
Perché volevo spronare anche gli altri a superare le difficoltà, gli intoppi della vita. Quando riesco a trasmettere la mia forza e la mia energia, la mia determinazione a superare gli ostacoli, mi ricarico anch’io.
Difficile immaginarti ancora più carico di quanto tu non sia già… leggendo il libro si capisce chiaramente che tu non ti sei mai arreso, più volte scrivi che non la potevi e non la volevi dare vinta al “batterio”
Sì è così, sono sempre stato testardo, sin da bambino se mi dicevi che non potevo fare una cosa era la volta buona che la volevo fare a tutti i costi. La malattia me la sono spesso immaginata come una persona che voleva fermarmi, impedirmi di vivere la mia vita come l’avevo sempre vissuta, da sportivo, da scalatore, da amante della natura e io, che non amo perdere, oggi più di ieri, non potevo lasciarla vincere. Ogni obiettivo che mi sono dato e che ho raggiunto dopo la meningite, dal più semplice, ma solo all’apparenza, come mangiare o scrivere, al più difficile, come tornare ad arrampicare o correre, io l’ho visto come un pugno in faccia alla malattia, una dimostrazione del fatto che non era cambiato niente.
Però qualche differenza rispetto alla tua vita di prima ci deve essere, magari nelle paure
La differenza più grande è che non rimando più a domani, quello che mi viene in mente di fare devo provare a farlo subito. Non mi sono mai disperato perché ero fermamente convinto che sarei tornato come prima, non nego che i momenti dolorosi ci siano stati, soprattutto nei mesi dell’ospedale, ma io cercavo sempre di spostare la mente in luoghi in cui ero stato e in cui volevo a tutti i costi tornare. In questo percorso di rinascita hanno giocato un ruolo fondamentale i miei amici con cui non si parlava mai di cose che io non potevo fare. Oggi le mie paure sono più per gli altri, per la mia famiglia, per il mio cane Kyra, di sicuro non per quello che non posso fare
Giulia perché hai accettato di scrivere questo libro insieme ad Andrea? Cosa vi accomuna?
Andrea è una forza della natura, per lui non c’è mai un problema, non esiste ostacolo. E io sono convinta che in un momento particolarmente doloroso della mia vita, in cui sentivo la mancanza di mia madre che se ne è andata per colpa della SLA, qualcuno mi ha mandato lui, per aiutarmi a superare le difficoltà, ad affrontarle con un altro spirito. Mi sono da subito sentita molto vicina ad Andrea perché, proprio a causa della malattia di mia madre, io sapevo cosa voleva dire restare per mesi immobilizzati in un letto. Lui mi ha trascinato nella sua vita, mi ha portato ad arrampicare, cosa che non mi sarei mai sognata di fare prima di conoscerlo. E quando mi ha chiesto di scrivere il libro insieme alla fine ho ceduto perché sono convinta che possa aiutare tante altre persone, trasmettendo un messaggio di speranza, di rinascita e di conforto. Io oggi grazie a lui mi prendo più cura di me, inseguo i miei sogni, come quello della scrittura e non mi fossilizzo più sulle cose negative della vita
Andrea tu fai più cose adesso con le protesi che prima con i tuoi piedi e sei deciso a continuare a fare tutto quello che ti piace, dalle serate in casa davanti al camino ad ascoltare la pioggia alla scalata dell’Everest…
Esatto, è il prossimo obiettivo che mi sono prefissato. Sono rientrato da poco da una spedizione sul Chimborazo, in Ecuador. Siccome è andata molto bene ho deciso di puntare più in alto e di cercare di arrivare agli 8.800 metri dell’Everest. Mi sto già allenando seriamente da un po’ e il viaggio, che verrà finanziato da un crowdfunding in rete come è stato per le mie prime protesi da corsa, è in programma per agosto.
Se chiedi ad Andrea cosa lo spaventa di più del tentare di scalare la montagna più alta del mondo lui ti risponde <il meteo> e questo la dice lunga sul suo carattere e conferma perfettamente la sua autodescrizione: <50% incoscienza, 25% determinazione e 25% coraggio>.
Nel libro non ne parli ma si sa che c’è un argomento che a te e a Bebe Vio, che ha scritto la prefazione, sta particolarmente a cuore: i vaccini
Sì, io prima di ammalarmi, in quel gennaio 2015, non conoscevo bene la meningite e non sapevo che ci si potesse vaccinare. Oggi dico vaccinatevi, perché con una semplice iniezione si può evitare di passare quello che ho passato io, che comunque mi ritengo fortunato, visto che altri che hanno contratto la malattia non ce l’hanno fatta.
Hai detto che sei incosciente, ti soffermi mai su cosa possono pensare gli altri di te?
Assolutamente no. Del giudizio degli altri non mi interessa.
Nella foto Andrea Lanfri con Giulia Puviani