“Telefono senza fili”: terza puntata con Bulgakov

Sulla rivista della nostra associazione prosegue in modo appassionante Telefono senza fili, la nuova rubrica proposta da una nostra giovane socia, la studentessa universitaria Chiara Marchesin… non vediamo l’ora di conoscere anche il vostro ‘libro del cuore’!

 

 

Telefono senza fili

di Chiara Marchesin

 

Telefono senza fili è una rubrica che ha come unico scopo quello di raccontare raccontandosi.

È un modo stravagante di conoscere chi sta intorno a noi e fa parte dell’associazione, valicando qualsiasi muro generazionale o fisico, per creare amicizia. Quale sarebbe il miglior modo di raccontarsi se non con un libro?

Il libro che ricalca la sagoma della vostra persona o che rappresenta tutto ciò che vorreste trovare in un consiglio di lettura o che vi suscita un emozione ancora intatta, che consigliereste con tutto il cuore anche a degli sconosciuti perché ‘ne vale la pena’.

Sperando questo progetto possa creare una rete di appassionati ascoltatori e consiglieri, vi invitiamo a mandare un vostro contributo all’indirizzo e-mail chiarmar3@gmail.com

 

La terza puntata accoglie il “libro del cuore” di Nicoletta Zucchini

 

LA MIA ULTIMA LETTURA

Al di là dei classici letti prima per dovere scolastico e poi in età adulta riscoperti in autonomia, i libri che nel tempo mi hanno coinvolto sorprendendomi felicemente, li posso contare sulle dita della mano e appartengono ad un’età ormai lontana.

Nel corso della vita, grazie a Dio non breve, ho letto molti romanzi interessanti, spesso capolavori ad ampio riconoscimento nazionale e internazionale, ma quello di cui voglio parlare è un libro che poco tempo fa mi ha colto alla sprovvista.

«Se uno non ha mai viaggiato in carrozza per sperdute strade di campagna, è inutile che glielo racconti: comunque non capirebbe. E a chi ha viaggiato, non voglio ricordarlo».

Questo è l’incipit chiaro, asciutto, diretto, spiazzante quel poco che basta ad incuriosire la lettrice o il lettore più smaliziata/o. L’incipit continua: «Dirò brevemente: per percorrere le quaranta verste che separano la città di Gracevka, capoluogo del distretto, dall’ospedale di Mur’e, il mio vetturino ed io impiegammo ventiquattr’ore esatte»

È subito chiaro che non siamo in Italia, né ai giorni nostri, il libro in questione è tradotto dal russo, e la traduttrice Emanuela Guercetti ha la grazia di conservare e di non “tradire” la splendida prosa dell’autore alla sua prima prova letteraria. Ma di chi sto parlando?

Sto parlando di Michael Bulgakov, da noi conosciuto soprattutto per “Cuore di cane”, “La guardia bianca”, “Il maestro e Margherita” e altri.

Appunti di un giovane medico è la sua prima prova letteraria, (fra le mani ho il volume edito dalla BUR, dodicesima edizione del 2018) e fin dalle prime pagine mi appare in tutto il suo eclatante splendore.

Oggi l’editoria si prodiga nel pubblicare romanzi gialli, polizieschi e similari, dove la trama, condita di suspence e di colpo di scena finale, ha la funzione di tenere inchiodato il pubblico fino all’ultima riga. Quando il lettore inizia a leggere Appunti di un giovane medico, non può fare a meno di staccare gli occhi dalla pagina, eppure non è un libro di genere, non è un poliziesco, nessuna indagine viene svolta, ma allora come riesce Bulgakov ad avvincere il lettore?

Nel libro sono raccolti nove racconti in successione cronologica, autore e protagonista coincidono e la narrazione in prima persona ci fa assistere in diretta alle drammatiche esperienze di un giovane medico alle prime armi, raccontate con una lingua semplice dettagliata e lirica. Bisogna aver qualcosa da dire e saperlo dire con una lingua precisa, ineguagliabile ed al contempo evocativa per raggiungere le vette di Bulgakov.

Gli Appunti sono racconti tesi, asciutti, drammatici, percorsi da una vena sottile di ironia, i fatti più che narrati, sono descritti con distacco scientifico dal protagonista-narratore, divenendo così fedeli proiezioni dell’autore, fatti che si è spesso tentati di prendere per veri, per autenticamente autobiografici. E in qualche misura lo sono.

Nel settembre del 1916 Bulgakov fu richiamato dal fronte e inviato a dirigere l’ospedale rurale nel villaggio di Nikol’. Questo periodo della sua vita è riflesso nel libro, dove l’eroe, un onesto medico, salva spesso i malati in situazioni che sembrerebbero senza speranza, egli è consapevole della necessità di diffondere l’istruzione ai contadini delle campagne di Smolensk, ma è impotente a mutare le condizioni delle loro misere esistenze e da questa impotenza è tormentato.

I documenti e l’attestato consegnato a Bulgakov dall’amministrazione del villaggio testimoniano che egli è stato un buon medico e che in un anno di lavoro a Nikol’skoe aveva curato più di quindicimila pazienti e aveva effettuato molte operazioni chirurgiche con successo: sono quelle di cui si parla nei racconti.

Tat’jana Lappa, la moglie di allora, testimonia che, la bambina giunta in ospedale quasi cianotica per la difterite e operata di tracheotomia, la donna dal parto difficile salvata per miracolo, la fidanzata sbalzata fuori della slitta in una caduta mortale, la donna contagiata dal marito sifilitico e altri protagonisti di questi racconti, sono stati casi autentici del giovane medico neolaureato Bulgakov.

Malgrado le concrete, spesso cruente descrizioni di ciò che avviene in sala operatoria, non si hanno mai sgradevoli cadute nel naturalismo, il distacco, l’ironia, le digressioni del narratore spezzano e distanziano l’azione freddamente rappresentata. Non sono da dimenticare la simbologia degli oggetti, dei colori e dei fenomeni atmosferici che contribuiscono a rendere questi racconti dei capolavori di tecnica narrativa, assai diversi, nella scrittura, dall’opera successiva di Bulgakov.

Qui non appare niente e nessuno, salvo i tre infermieri e la levatrice, che interferisca con la vita del medico e nel suo rapporto con il paziente, perché qualunque particolare esterno, per vero o umano che sia, spezzerebbe la tensione del racconto e ridurrebbe l’intensità della vicenda, che sta soprattutto nella metafisica solitudine del protagonista.

A esprimere poeticamente la solitudine del giovane medico e a renderla vera, contribuiscono le descrizioni del paesaggio, reso muto o invisibile dalla neve, o dalla fitta cortina di nebbia incollata ai vetri, o dai rovesci di pioggia autunnale. Nel racconto La v’juga, la tormenta di neve è un’immagine, carica di simbologie, presente in tutta l’opera. In esergo a questo racconto scrive l’autore:

Ora, come una belva, ulula, / Ora piange come un bambino”.

Gli Appunti sono anche percorsi da ottimismo e da un grande senso d’umanità, le autoconfessioni dell’eroe non sono pervase solo dalle inquietudini spirituali di un giovane medico, ma costituiscono anche la misura della sua maestria, della sua arte, e rendono con efficacia il vigore del suo carattere e ci delineano la formazione della sua personalità.

Condivido fino in fondo il giudizio espresso dalla critica, che in parte cito dalla prefazione: “Il Bulgakov giovanile è incantevole, irresistibile, è un autore al quale il tempo non ha tolto niente del suo fascino… (negli Appunti di un giovane medico). La narrazione risulta così brillante e avvincente che il lettore con assoluta partecipazione si immerge nella descrizione dei casi più insidiosi della pratica medica e con assoluta partecipazione segue il lavoro del giovane Esculapio di campagna, ansioso di soccorrere malati, uomini smarriti, vite in pericolo”.

A mio avviso quello che rende ancora più intenso il dramma che pervade tutto il libro, è la tragedia della Prima guerra mondiale, che incombe su tutto e tutti non con minuziose descrizioni, ma con l’arte estrema del non detto, e rende la tragedia del conflitto mondiale ancora più assurda e con la Rivoluzione russa ancora più assoluta.

Bulgakov è solo nel combattere il nemico esterno, le avversità delle malattie e dell’ignoranza, i propri demoni interiori. Un’opera prima questa che ci abbaglia con la sua energia, la sua disperazione sconfortante, con la sua ostinata voglia di credere, nonostante tutto.

Appunti di un giovane medico è un libro che consiglio non solo a chi ama la grande letteratura, ma anche ai giovani che nel corso degli studi devono affrontare la Storia del ‘900, oltre a nutrire il loro desiderio di verità e bellezza, costituirebbe un ottimo supporto a rendere lo studio della Storia radicato nella realtà umana di un dato tempo e luogo. Credo che opere come quella che ho tentato di delineare in queste poche insufficienti righe, contribuirebbero a radicare una verità storica più vicina alla vita vissuta dai popoli e quindi a renderla meno astratta. Una verità vista dal basso che spesso la narrazione dei manuali non riesce a mettere a fuoco con sufficiente vividezza.

(Nicoletta Zucchini)