Punti di vista

Punti di vista

di Anna Cervellati

«Qui è buio e un freddo umido ci circonda da giorni. Buio, freddo e silenzio. Ma si è fermato il mondo? Per quanto ancora dovremmo stare qui? Ma come può non essersi accorta che siamo stati bruscamente catapultati fuori dal borsone all’ultima curva… se solo avesse chiuso la cerniera ora saremo in casa al caldo. Ma ci sarà qualcuno in casa? Qualcuno ci libererà da questo luogo metallico e ci farà sentire di nuovo il profumo di cloro, il dolce cullare delle acque? Ma lei dov’è? Non stava ferma mai, non aveva neanche il tempo di chiudere una borsa ed ora non si vede, non si sente da giorni. Sarà morta? Eppure stava bene, neanche uno starnuto. Sarà morta all’improvviso? E noi, noi che faremo? Siamo spacciati qui se lei è morta, qualcuno si libererà di noi.» Sbadata, distratta da tutto quello che il mondo imponeva ma concentrata in modo quasi maniacale su ciò che faceva parte del suo mondo, lei, per loro era una garanzia perché loro erano parte del suo mondo. Ora senza di lei erano persi. Speravano di avvertire il rumore dei suoi passi che veloci marciavano in scarpe da tennis, speravano di sentire le chiavi che rapide ruotavano nella porta ed aprivano il garage. Niente, niente di niente per un numero di giorni che passava indefinito.

«Avremmo dovuto dirglielo che con lei siamo stavamo bene, avremmo dovuto stringerci più forte a lei, avvolgere meglio il suo viso, proteggere con più attenzione i suoi occhi. Avremo dovuto dirglielo che le volevamo bene anche se ci svegliava all’alba e ci buttava in acqua alle sette del mattino. Avremo dovuto perdonarla per tutte le volte che di fretta ci metteva nel sacchetto blu insieme al costume rosa e noi tutti appannati non vedevamo nulla per ore ed il giorno successivo facevamo di tutto per impedire a lei una visione limpida. Era anche giovane per lasciare questa terra, ed ora che ne sarà di noi?»

Questo pensavano quel giorno in cui pochi minuti dopo avvertirono dei passi scendere le scale che vagamente ricordavano i suoi: il rumore era quello delle suole gommose delle sue scarpe, ma la velocità era diversa: così lenta lei non era mai stata.

Silenzio.

I passi si fermarono proprio davanti alla porta del garage.

Attesa.

Si avvertì il rumore di mani che frugavano nella borsetta.

Speranza.

Una chiave dopo tanto tempo ruotò nella fessura ed aprì quel piccolo portone giallo che conduceva al garage.

Trepidazione.

Una mano aprì lo sportello dell’auto bianca dimenticata da giorni.

La stessa mano ruotò le chiavi nel cruscotto e mise in modo quella piccola vettura.

Trepidazione vana.

Nessuna mano aprì il baule per cercarli, nessuna mano depose in fretta un borsone nei sedili posteriori: nessuna sosta in piscina era prevista.

La borsetta che appoggiò sul sedile davanti era leggera, non poteva contenere libri: di sicuro se era lei non stava andando neanche al lavoro.

Ma era lei alla guida della sua auto?

Questo si chiedevano ancora dimenticati nel baule cambiando di posto ad ogni curva e ad ogni frenata.

Silenzio.

Mai un viaggio era stato così muto.

Nessuna canzone in auto, nessun rumore proveniente dall’esterno, ma chi aveva rubato i suoni dei clacson, le voci ai giovani, i gridolini ai bambini, il vociare della gente?

Ecco si è fermata.

Parcheggia.

Scende e si allontana sempre con quel passo che non sembra suo.

Sarà lei?

Il rumore di ruote di un carrello, la spesa, sarà scesa per fare la spesa.

Nessuna voce intorno solo rumore di ruote sull’asfalto.

Ma le persone non parlano più?

Ma ci sono ancora persone là fuori? Ma chi ci ha portati qui, un robot? Un extraterrestre? Un clone umano mal riuscito?

Paura.

Attesa.

Lunga attesa.

Eccessiva attesa per una spesa.

Silenzio irreale.

Poi finalmente il rumore di passi vicini, finalmente una mano che stringe la maniglia del bagagliaio, finalmente qualcuno ci troverà.

Attesa.

Speranza.

Paura.

Era lei.

Una mascherina grigia le copriva naso bocca e mento: «Ma che sport si è messa a fare per proteggersi in questo modo?»

Il baule aperto permise loro di vedere il mondo fuori. Tutte le persone in fila con il carrello erano sole, distanziate le une dalle altre e tutte avevano una mascherina che lasciava visibile solo gli occhi.

Il terrore invase i pensieri che si fecero sempre più cupi. Ogni ipotesi pareva poco plausibile, l’unica certezza era quella di osservare un mondo profondamente cambiato.

Il baule si chiude e la piccola auto bianca ripartì.

Un quotidiano spuntava da una sportina tra i pacchi di pasta e i barattoli del sugo. Alla rotonda il movimento dell’auto li catapultò nei pressi del giornale e dalla loro nuova posizione lessero ciò che non avrebbero mai voluto leggere: «Piscine chiuse in tutta Italia!».

Nemmeno il tempo di riprendersi da quella notizia scioccante che una frenata li gettò in un’altra busta della spesa dove si infilarono tra zucchine, insalata e mele verdi.

Il baule fu riaperto, lei portò tutte le buste in casa e mentre le svuotò finimmo tra le sue mani. L’odore di quelle dieci dita era diverso, non era più il consueto profumo di cloro, ma un’intensa fragranza di disinfettante che si respirava tra la sua pelle.

Trovarci cambiò il ritmo metodico con cui stava sistemando la spesa.

Si sedette stringendoci in una mano, con l’altra si asciugò gli occhi che vedendoci divennero lucidi.

Senza dire una parola ci guardò per qualche minuto.

Poi si alzò, ci portò in bagno, ci lavò con la stessa cura di sempre, e poi dopo averci asciugato ci fece una specie di lunga carezza.

Poco dopo a passo lento ci portò in una stanza dove su una sedia si trovava la sacca del nuoto.

L’aprì scorrendo la cerniera e ci infilò nel sacchetto blu insieme alla cuffia rosa e finimmo come ai vecchi tempi l’uno tra le braccia dell’altra.

I triangoli disegnati su quel copricapo acquatico sembravano sorridere vedendoci e noi ci appannammo tutti dall’emozione.

Neanche la cuffia sapeva nulla. L’ultima volta che aveva visto una piscina era stato con noi poi più nulla, era stata sempre lì chiusa dentro nel sacchetto e da sola. Ma ora c’era una speranza in più di capire. Lei aveva dimenticato di chiudere parte della cerniera della sacca e noi avremo potuto sbirciare, indagare, scoprire.

Un odore di risotto alla zucca poco dopo invase la casa, noi ci affacciammo e con certezza potemmo ascoltare le voci di chiunque abitasse lì. Suo figlio uscì da una stanza in tuta e ciabatte e chiese se il pranzo fosse pronto perché dopo quattro ore di scuola aveva un po’ di fame. Quattro ore di attività liceale in camera da letto?

Suo marito uscì da un’altra stanza e noi lo guardammo stupiti: il suo viso era circondato da lunghi capelli brizzolati e mossi. Quel nuovo look ci lasciò basiti e ipotizzammo per lui una crisi di mezza età.

Il telegiornale raccontava di terapie intensive, di contagi, di medici ed infermieri che a noi parevano vestiti come astronauti e sembrava che il mondo fosse diventato un grande ospedale.

Pranzarono, poi lei si mise un vestitino e disse: «Fate piano se potete che vado a lavorare!»

Entrò in una stanza, chiuse la porta e noi sentivamo voci bambine a volte un po’ metalliche che dialogavano con lei. Anche lei come suo figlio si era messa a fare scuola in camera da letto!

Eravamo sempre più basiti. Un paio di giorni dopo si avvicinò alla sacca in cui ci aveva riposto, si accorse della cerniera semiaperta e la chiuse con un rapido movimento del polso e della mano.

Buio.

Per noi iniziarono giorni bui in cui sembrava sempre notte. In quella eterna notte la cuffia fu la prima ad andare in letargo poi rimasti soli finimmo per addormentarci anche noi.

Il risveglio da quel lungo sonno fu il giorno in cui sentimmo che qualcuno aveva ripreso in mano la sacca, se l’era messa sulla spalla, poi con energia l’aveva collocata in auto ed era partita.

Riconoscemmo la strada: le soste ai semafori, il movimento circolare delle rotonde, e la frenata che annunciava il parcheggio davanti alla piscina. Una sosta insolita, un bip ignoto e un: «Tutto. Ok, puoi andare!» Non capimmo prima della solita strisciata del badge e poi in un lampo noi e la cuffia fummo al solito posto immersi nel profumo di cloro della nostra piscina. Qualunque cosa fosse successa lei era sempre la stessa: mentre nuotava sorrideva e anche noi ricominciamo a sorridere!