Un filo d’inchiostro

Editoriale

la mia anima

è uno scarabocchio

smarrito

il filo del gomitolo

disperso

immerso

nell’inchiostro

nero

della libertà1

 

 

È nato come un esperimento. Sederci intorno a un tavolo a raccontarci perché abbiamo iniziato a scrivere (o perché pensiamo sia essenziale farlo). A dirci come ci siamo trovati un giorno a raccogliere pensieri su un taccuino, a trascrivere idee o trame di racconti. Fino a fare della scrittura una passione irrinunciabile o addirittura una professione.

I laboratori di scrittura Scarabocchi d’autore sono stati una piccola oasi di condivisione, finalmente non virtuale: incontri fianco a fianco, occhi negli occhi. Alcuni soci del nostro Gruppo si sono resi disponibili a condurre qualche laboratorio di scrittura. Gratuitamente. E senza pretendere ‘compiti’ o risultati. In completa libertà.

È stata un’occasione per celebrare in modo nuovo e informale i primi venti anni della nostra associazione, un gruppo che riunisce persone diversissime, lontane anche nello spazio, ma unite profondamente da un filo: la fiducia nel potere della parola.

Potere di sciogliere nodi interiori, di raccontare storie del presente o di un passato da non dimenticare, di inventare surrealtà, di avvicinare universi. Di dilatare la nostra piccola vita. Lasciando una traccia, un filo.

Come ci ha ricordato il professor Claudio Cazzola in occasione della presentazione del libro di Agi Mishol, «la scrittura è una religione».

A ‘Scarabocchi d’autore’ hanno partecipato persone dai 13 ai 70 anni, soci e non soci, ognuno richiamato dalla curiosità o dal desiderio di mettersi in gioco. Quindi, esperimento riuscito.

Ha aperto le danze la vicepresidente Nicoletta Zucchini, già ‘pioniera’ del primo corso di scrittura del Gsf (avviato nel 2018); con la sua gentilezza innata ha accolto i partecipanti e li ha invitati a cimentarsi con il testo narrativo.

Poi è stata la volta di Nicola Lombardi, che non solo ci ha descritto la storia di un genere spesso misconosciuto, ma ci ha fatto apprezzare la bellezza della paura, il suo lato amico.

Camilla Ghedini ha saputo trasmetterci la sua passione per il giornalismo, per i temi del sociale. Le sue parole e i suoi libri coraggiosi sono stati d’ispirazione per tutti noi.

Mentre scrivo questo editoriale siamo nel mese di marzo e purtroppo i prossimi laboratori sono sospesi. Sospesi come i giorni che stiamo vivendo. Settimane di angoscia, di vuoto, drammatiche per troppe persone.

Per tutti noi sono sicuramente una prova. Ne potremo uscire stremati, o forse rafforzati. Lo capiremo soltanto quando tutto sarà finito.

La mia proposta di laboratorio a ‘Scarabocchi d’autore’ sarebbe stata dedicata al testo poetico: un discorso che abbraccia in modo trasversale tutti gli altri generi, linfa vitale del nostro essere qui.

E pensando alla poesia, mi tornano in mente alcune parole di Tiziano Terzani:

«Mi sono spesso chiesto, strada facendo, da dove sarebbe arrivata la soluzione al problema che affrontiamo, quello dell’umanità che mi sembra stia annaspando nella sua ricerca di una soluzione a quello che non va. Una volta, attraversando in nave lo stretto di Malacca, in una di quelle belle serate in cui si stava sulla tolda della nave a guardare il tramonto, vidi all’orizzonte decine di splendide isolette e mi venne la divertente idea che la soluzione sarebbe arrivata da una congiura di poeti. Perché soltanto la poesia mi pareva potesse ridarci una spinta di speranza. Identificai un’isola lontanissima, insignificante, che non era segnata su nessuna carta, ma in cui immaginavo crescesse una generazione di giovani poeti che aspettavano il momento di prendere in mano le sorti del mondo (…). È il segno, forte, di un’aspirazione, della speranza che da qualche parte ci sia una soluzione; che esiste un legame segreto, non fondato su regole; che c’è gente che non ha rinunciato agli ideali, che non ha rinunciato a qualcosa di più grande della vita quotidiana e che improvvisamente non è sola2».

Nella vita di ogni giorno non sempre c’è una risposta, spesso finiamo per smarrirci in qualche labirinto. Ma la poesia – e in senso lato la scrittura – «è il segno, forte, di un’aspirazione, della speranza che da qualche parte ci sia una soluzione». Può significare tutto, può essere niente.

Quando l’esistenza ci mette alla prova, c’è comunque un foglio bianco che ci aspetta.

E un filo d’inchiostro per ritrovare la strada.

 

Opera di Matteo Pazzi

(Editoriale del nuovo numero de l’Ippogrifo, giugno 2020)

1E. Rossi, ho svaligiato l’universo, Aletti, 2020

2T. Terzani, La fine è il mio inizio, Longanesi, 2006