Ai Diamanti lo sguardo da fotografo del pittore De Nittis

Tania Droghetti

Guardare il mondo e dipingerlo attraverso il finestrino di una carrozza, quasi fosse l’obiettivo di una macchina fotografica: una vera ‘rivoluzione dello sguardo’ che dà il titolo alla mostra dedicata a Giuseppe De Nittis (1846 – 1884) ospitata a Palazzo dei Diamanti dal 1° dicembre 2019 al 13 aprile 2020. E’ un punto di vista diverso sulla natura e quello che ci circonda quello che viene fornito dal pittore di Barletta, un punto di vista fortemente influenzato dall’invenzione, a metà del 1800, proprio della fotografia, e che a sua volta, per questa nuova forma d’arte, sarà d’ispirazione.

Maria Luisa Pacelli, Barbara Guidi e Hélène Pinet sono i curatori della mostra, organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte e dalle Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea in collaborazione con il Comune di Barletta. La mostra nasce dal rapporto instauratosi tra il Museo Boldini di Ferrara e la Pinacoteca Giuseppe De Nittis di Barletta. Grazie all’accordo tra i due musei Palazzo dei Diamanti ospita la mostra su De Nittis e Palazzo della Marra a Barletta vedrà protagonisti alcuni dipinti e opere grafiche di Giovanni Boldini.

Barbara Guidi abbiamo lasciato Palazzo dei Diamanti ‘abitato’ da Giovanni Boldini e oggi vi troviamo le opere di Giuseppe De Nittis, qualcosa li unisce e qualcosa li divide…

Sono entrambi artisti di spicco della fine dell’Ottocento, in particolare a Parigi. Si ritrovano a misurarsi sugli stessi palcoscenici ma su temi diversi: De Nittis è prevalentemente un pittore all’aperto, Boldini invece preferisce gli interni e soprattutto i ritratti. Hanno due personalità differenti, sono rivali che si frequentano ma non si amano, però osservando e studiando il lavoro di De Nittis si approfondisce la conoscenza dell’ambiente di cui fu partecipe anche Boldini.

La prima sala che si incontra in mostra è una specie di camera oscura, dove si trovano un’opera di De Nittis e un inventario post mortem dei beni appartenuti al pittore, perché si parte da qui?

L’opera è La traversata degli Appennini – Ricordo del 1867 e ci aiuta subito a capire che tipo di pittore fosse De Nittis: un paesaggista, che amava restituire nelle sue opere le atmosfere che sentiva attorno a sé. Già da questo primo quadro si percepisce il suo ‘stile fotografico’, si posiziona esattamente al centro della strada che attraversa gli Appennini, come se avesse in mano un cavalletto e una macchina fotografica invece di tela e pennelli. L’altra caratteristica che già emerge è il tema del viaggio, che gli sarà caro per tutta la vita.

Nell’inventario invece due sono le cose su cui ci siamo focalizzati: vengono citate una scatola contenente 100 foto e una carrozza speciale che De Nittis usava per spostarsi e che era stata attrezzata per poter dipingere quello che vedeva dal finestrino. Sono ‘prove’ di una comunanza di visione tra pittori e fotografi, di una reciproca influenza.

E questo accostamento durante la mostra diventa anche fisico, visto che a fianco dei quadri di De Nittis si ritrovano spesso foto scattate negli stessi anni allo stesso soggetto.

Le prime sale sono tutte dedicate agli anni più da ‘paesaggista’ di De Nittis.

Sì, nella sala 2, che abbiamo chiamato Conosco tutti i segreti dell’aria e del cielo, nelle opere si ritrova il già citato tema del viaggio e quello del voler andare in mezzo alla natura e portare con sé l’osservatore. Vediamo una pittura diretta che trasmette sentimento, come negli studi di nubi o del mare in burrasca. In Camera con vista sul mare invece i bordi della finestra rappresentano una cornice naturale che concettualmente richiama l’idea di inquadratura.

De Nittis usa prospettive accentuate e grandissime profondità. Introduce dei nuovi codici espressivi, che appartengono al mondo della fotografia come dimostrato dalle opere, presenti in sala, di fotografi francesi dell’epoca che si dedicano anch’essi allo studio di nuvole, cielo, mare, barche e strade.

Nella sala 3 il protagonista è il Vesuvio. De Nittis si trasferì presto a Parigi, nel 1868, ma tornava spesso in Italia. Nel 1872 si trovava a Napoli e, insieme ad altri pittori e fotografi, ritrasse il vulcano in coincidenza con un’importante ripresa dell’attività eruttiva. L’artista dipinse il Vesuvio in ogni momento del giorno, in ogni condizione atmosferica e di luce. Si sentiva libero di esprimersi, probabilmente più che a Parigi, dove lavorava per un mercante d’arte, e adotta una pittura scarna, semplificata ma evocativa. In alcune delle 70 tavolette prodotte lascia scoperto il legno e usa il colore come sfondo, in altre dipinge un muro di terra per tre quarti del quadro e lascia pochissimo spazio a un Vesuvio che ‘fuma’, esattamente come il fotografo Giorgio Sommer, con cui ancora una volta è evidente una vicinanza intellettuale, una comunanza di vedute.

E poi si passa al tema delle città, in particolare Londra e Parigi, perché per De Nittis sono così importanti?

Perchè in quel momento sono l’ombelico del mondo e lui si specializza come pittore di paesaggio urbano, in particolare gli interessa ‘restituire’ a chi guarda gli effetti atmosferici che caratterizzano queste città: la nebbia perenne e i fumi delle industrie di Londra, le giornate di pioggia di Parigi. Anche i fotografi pittorialisti, come Alvin Langdon Coburn, o quelli che vengono subito dopo De Nittis, come Alfred Stieglitz o Leonard Misonne, scelgono questi soggetti.

In particolare nel dipinto Westminster del 1878 De Nittis riesce a unire la vita che scorre, con la gente che cammina o si ferma sul ponte a osservare il Parlamento, con una prova di pittura pura, alla Monet, rappresentata dal sole che tramonta proprio dietro al palazzo. Anche Van Gogh rimase particolarmente colpito da questo quadro.

Ma le città sono anche luogo di divertimento. De Nittis ritrae la nuova cultura del tempo libero. La gente che esce e va all’ippodromo per vedere ma anche per farsi vedere. Al pittore non interessa tanto la corsa quanto il backstage, cogliere l’attimo, l’istante, proprio come un fotografo che si apposta e aspetta per avere lo scatto migliore.

Temi cari anche agli Impressionisti.

Sì, ma lo stile è diverso. De Nittis è sicuramente vicino al gruppo ma fa la scelta di poter rimanere sempre sulla cresta dell’onda, vuole mantenere un tenore di vita elevato, in altre parole i suoi lavori li vuole vendere e quindi non adotta mai una pittura di rottura, di rivoluzione, resta virtuoso ma leggibile alla gente, come nel dipinto Tra le spighe del grano, esposto nel 1874 alla mostra degli Impressionisti.

E veniamo alla carrozza da cui siamo partiti, la sala 6 si intitola Dal finestrino di una carrozza

La usava per cogliere lo scorrere della vita nelle strade parigine, per raccontare una città che stava cambiando, una città piena di impalcature che lui riusciva a rendere belle. Siamo in un periodo, il 1875, in cui a Parigi c’erano molte ristrutturazioni, si voleva riportare la città ai fasti precedenti. A De Nittis interessa la folla, il palpitare della città, il movimento incessante, per questo usava la carrozza atelier, dipingeva quello che il finestrino inquadrava, non importava se era metà corpo, metà ponte o solo teste, le sue pennellate evanescenti rappresentavano la vita che entra ed esce dall’inquadratura, esattamente come in alcuni dei primi filmati dei fratelli Lumière, che piazzavano la cinepresa in mezzo alla strada e facevano entrare e uscire la realtà.

Le sale sulle città si chiudono con opere che rappresentano i simboli del progresso: fabbriche, ferrovie, treni, cantieri, la bellezza della modernità, al centro anche di molte foto d’epoca.

C’è poi una sala dedicata al Giappone, come entra in contatto De Nittis con un paese così lontano e come influenza la sua pittura?

Nel 1867 il Giappone arriva a Parigi per l’Esposizione universale e De Nittis diventa, in pochi anni, un grande estimatore e uno dei principali collezionisti di opere e manufatti di quel paese. Conosce pittori orientali e, insieme ad altri artisti come Manet e Degas, assiste a dimostrazioni di pittura che lo influenzano talmente tanto che poi inserisce alcuni elementi tipici nei suoi lavori, come gli alberi, i pali e i paraventi usati come ‘quinte’ per tagli insoliti e quasi fotografici, oppure gli animali o ancora un certo tipo di paesaggi molto simili a quelli ripresi nella fotografia naturalistica nipponica.

C’è una sala dedicata ancora al paesaggio, in particolare alla neve che copre Parigi e che colpisce particolarmente De Nittis, uomo del Sud che poco la conosceva e poi c’è un cambiamento profondo nei suoi soggetti, anche se sarà solo temporaneo come vedremo.

De Nittis negli ultimi anni della sua carriera affronta anche la pittura in interno, il soggetto è la luce artificiale, i quadri di quel periodo sono basati sui giochi di luce, sui chiaroscuri e hanno un sapore più intimista.

Il dipinto più celebre di quel periodo è Il salotto della principessa Mathilde del 1883. Manet e Degas si dedicavano ai caffè concerto, De Nittis sceglie i salotti perché li frequenta con la moglie Léontine e li conosce. Si tratta di un quadro molto costruito che sembra riprodurre una pagina di un romanzo di Zola in cui viene descritta una serata elegante. Una tenda si scosta per portare lo sguardo verso il centro del dipinto dove si trova la protagonista e dove l’attenzione viene catturata anche dai dettagli dell’argenteria, poche e precise pennellate che restituiscono la materialità di questi oggetti.

Nell’ultima sala però si torna en plein air, un cerchio che si chiude?

De Nittis nell’ultimo periodo della sua vita era molto affaticato dal tipo di vita condotta fino a quel momento, spesso a dipingere all’aperto con ogni condizione atmosferica, e allora decide di ritirarsi in campagna con la famiglia, la sua oasi di pace, e di ritrarre gli affetti più cari. Lo fa ancora una volta in maniera innovativa, con ‘tagli’ particolari, come per Léontine in canotto, che qualche anno dopo, quando la tecnica lo permetterà, verranno ripresi anche dai fotografi.

La sua ultima opera Colazione in giardino, del 1883, realizzata pochi mesi prima di morire, viene spesso paragonata all’omonimo dipinto di Monet, in realtà coglie un momento intenso di vita privata e di felicità, è come la proiezione di un sogno che il pittore sente di dover subito immortalare, tanto da alzarsi dalla sedia che resta vuota in primo piano.

La stessa poetica degli affetti la si ritrova in molte foto dell’epoca e qualche anno più tardi nei filmati dei fratelli Lumière, in mostra potete vedere la Colazione del bimbo e La bambina e il suo gatto.

Quadri, foto e filmati sono visibili tutti i giorni dalle 9 alle 19. Maggiori informazioni si possono trovare sul sito www.palazzodiamanti.it

Nella foto di Tania Droghetti, la curatrice Barbara Guidi davanti all’opera di De Nittis Passeggiata invernale