Una mostra per misurare le emozioni che suscita l’arte

Tania Droghetti

Visitare una mostra con gli occhi della scienza. Così si potrebbe riassumere l’esperienza di
chi decide di partecipare come volontario al progetto NEVArt – Neuroestetica della Visione
dell’Arte, una ricerca coordinata dal professor Sante Mazzacane, direttore del Laboratorio
CIAS, Centro di Ricerca Interdipartimentale dell’Università di Ferrara.
La mostra in questione è Dipingere gli affetti. La pittura sacra a Ferrara tra Cinque e
Settecento, ospitata nelle sale del Castello Estense fino al 26 dicembre 2019 e curata da
Giovanni Sassu.
Io ho deciso di fare la volontaria, di prestare un’ora della mia giornata alla scienza, l’ho fatto
per curiosità prima di tutto, perché volevo capire cosa fosse la neuroestetica e come si
potesse applicare a un percorso espositivo e poi perché ho avuto l’occasione di passeggiare
una volta di più tra le bellissime (giudizio estetico, proseguendo nella lettura capirete…) sale
del nostro Castello.
Non bisogna lasciarsi spaventare dagli elettrodi e dagli altri strumenti che vengono applicati
su testa e braccia prima di iniziare la visita della mostra o intimorire dalle domande dei
ricercatori e nemmeno lasciarsi distrarre, anche se non è facile, dagli altri visitatori che ti
guardano un po’ come se fossi un marziano, perché la partecipazione alla ricerca abbia un
senso si deve cercare per quanto possibile di osservare i 19 quadri scelti per il progetto, ma
in mostra ce ne sono molti di più, come se tutto il resto non ci fosse.

Ma perché elettrodi e altri strumenti? A che scopo? Chi meglio del professor
Mazzacane può spiegarlo…
NEVart è una ricerca che si prefigge di individuare, nel caso esistano, le correlazioni tra la
risposta neurofisiologica di un individuo alla visione di un’opera d’arte e il giudizio estetico che
questo individuo dà della medesima opera.
L’estetica come disciplina filosofica autonoma è stata fondata da Alexander Baumgarten agli
inizi del 1700, è stata ripresa da Immanuel Kant (Critica della capacità di giudizio) e poi
trattata da molti filosofi che si sono chiesti che cos’è la bellezza e se esistono canoni per un
giudizio estetico universale. Nel 1800 con gli Elementi di psicofisica Gustav Fechner getta un
ponte tra la fisica (cioè le caratteristiche oggettive degli stimoli del corpo) e la psicologia (cioè
lo studio delle sensazioni prodotte nel soggetto da quegli stimoli) creando una scala del
giudizio estetico. Poi per decenni la materia è rimasta a riposo, fino a quando, agli inizi degli
anni ‘90 del 1900 Semir Zeki, neurologo, ha pensato, mediante la sensoristica che
cominciava ad essere disponibile in quel periodo, di trovare la risposta neuronale (del
cervello) di un individuo alla visione di un’opera d’arte, ovvero di fornire una <teoria estetica a
base biologica>, in grado di <comprendere le basi neurologiche dell’esperienza estetica>.
Noi abbiamo deciso di concentrarci sui quadri perché è più semplice, ma gli stessi studi
possono essere applicati anche a brani musicali, a poesie e racconti, alle sculture o ai
paesaggi della natura.
Quando un individuo vede un’opera d’arte esprime un proprio giudizio estetico, che è
soggettivo, nasce ed è condizionato da un patrimonio culturale personale. Con questo
progetto noi vorremmo individuare la risposta neurofisiologica del corpo a quella visione.

E come pensate di individuarla? Cosa misurate?
Le ricerche in questo campo si fanno da molto tempo. Monitoriamo la risposta
neurofisiologica del soggetto registrando l’elettroencefalogramma, l’elettrocardiogramma e la
resistenza elettrica della pelle, ovvero quanto varia la sudorazione della pelle, quest’ultima è
una risposta emozionale.
Quando un volontario osserva i 19 quadri scelti per un tempo prefissato, un minuto, oltre a
questi parametri videoregistriamo anche ciò che i suoi occhi vedono e il percorso del suo
sguardo all’interno del quadro. Una volta registrati i dati il volontario esprime infine un suo
giudizio estetico sul quadro.
La nostra ipotesi è questa: che da qualche parte il corpo sotto il profilo fisiologico (battito
cardiaco), neurologico (elettroencefalogramma) ed emozionale (sudorazione) risponda a ciò
che è il giudizio estetico che ognuno di noi esprime a parole.
Questa ricerca si discosta dalle precedenti perché monitoriamo tanti parametri e l’individuo si
trova in un contesto naturale, non in laboratorio. Vedere un quadro dal vivo è diverso che
vederlo proiettato in laboratorio. E poi coinvolgiamo, o almeno ci stiamo provando, un numero
importante di soggetti, vorremmo arrivare a 500, di solito nelle ricerche si arriva a 30/40. Con
numeri più consistenti si possono condurre analisi statistiche più attendibili.

Poi cosa succede a tutti i dati raccolti? Come vengono rielaborati? E quando saranno
pronti i risultati finali?
Abbiamo già cominciato a inserirli in modo coordinato in un apposito database, compiendo
una prima elaborazione, isolando la risposta neurofisiologica ed emozionale al quadro
numero 1 del soggetto numero 1, etc…, trasformando tutto in forma grafica e numerica.
Alla fine quello che ci interessa è verificare se tra la risposta neurofisiologica e il giudizio
estetico vi sia una correlazione simile per tutti. In altre parole, se un soggetto esprime un
giudizio 10 per un quadro, i suoi tracciati neurofisiologici ed emozionali sono simili a quelli
degli altri volontari che hanno dato 10 allo stesso quadro? Se così fosse monitorando un
soggetto si potrebbe scoprire se una cosa gli piace oppure no.
Non possiamo ancora prevedere i tempi necessari per l’elaborazione di tutti questi dati;
dobbiamo capire la chiave di lettura, è come se andassimo a cercare un filone d’oro in una
montagna.
Questa ricerca è un work in progress, una ricerca a matrioska, da cui nascono continuamente
nuove ricerche. Una delle prossime riguarderà sicuramente la neuroarchitettura: la
percezione, l’arredo, i colori dello spazio in cui viviamo inducono delle sensazioni
psicologiche molto diverse negli individui.

Ma perché un centro ricerche come il CIAS, che si occupa di contaminazione e
decontaminazione di ambienti, in particolare ospedalieri, pensa a una ricerca come
questa?
E’ partito tutto da una curiosità sulla teoria dell’evoluzione di Charles Darwin, che si basa su
due pilastri: il primo è l’adattabilità degli esseri viventi all’ambiente e il secondo è l’istinto alla
bellezza, the sense of beauty, che determina la scelta del maschio esteticamente più attraente da parte della femmina. Il senso estetico è una caratteristica istintiva, primordiale, a fini riproduttivi.

Come potrebbero essere utilizzate queste informazioni?
Noi abbiamo messo a punto un sistema utilizzabile in diverse situazioni. Per esempio alcuni
neurologi ci hanno suggerito di applicarlo ai malati di Parkinson; ci sono già studi che
dimostrano che facendo visitare delle mostre a questi pazienti, ovvero sottoponendoli a
esperienze di arte passiva, la progressione della malattia è più lenta; noi possiamo
monitorarli mentre visitano la mostra e poi confrontare le loro risposte neurofisiologiche con
quelle dei soggetti sani e cogliere le differenze.
Un’applicazione per me naturale è quella del monitoraggio a distanza dei pazienti, già
pensato ormai 15 anni fa insieme ad alcuni neurologi: con un set di sensori potremmo per
esempio controllare un paziente psichiatrico 24 ore su 24 a centinaia di chilometri di distanza,
oppure ottenere una risposta numerica, e non soggettiva e mediata da altri, a una cura. La
telemedicina è più vicina di quanto sembri.

Come e fino a quando si può partecipare e perché quindi si dovrebbe partecipare?
La mostra dura fino al 26 dicembre; si può prendere appuntamento, e se lo si fa è poi
importante tenere fede all’impegno e presentarsi puntuali, mandando una mail a
nevart@unife.it
Partecipare allo studio significa contribuire ad esplorare la sfera cognitiva e neurologica
dell’uomo che è ancora sconosciuta, contribuire a sviluppare un sistema che potrebbe aiutare
a controllare malattie sempre più diffuse e penalizzanti.

Le potenzialità del progetto si possono intuire anche dal numero di soggetti coinvolti…
Abbiamo messo insieme ingegneri, informatici, esperti di sensori, filosofi, architetti, fisici,
biologi, neurologi, circa 20 persone, in collaborazione con il Laboratorio di Neuroestetica del
CESPEB dell’Università Bicocca di Milano, l’Istituto di Neuroscienze del CNR di Parma, il
Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze, il Dipartimento di Studi
Umanistici e il SE@ – Centro di Tecnologie per la Comunicazione dell’Università di Ferrara e il
Consorzio Futuro in Ricerca di Ferrara. Abbiamo impiegato un anno e mezzo per mettere a
punto la ricerca, ma era fondamentale coinvolgere esperti di settori diversi. Il CIAS è un
centro interdipartimentale, perché ci troviamo di fronte a problemi che appartengono a campi
differenti e quindi abbiamo necessità di un approccio multidisciplinare.
Abbiamo coinvolto nel progetto anche 12 studenti del Liceo Classico L. Ariosto di Ferrara e 4
loro insegnanti, hanno seguito preliminarmente lezioni di psicologia, elettrofisiologia, filosofia
estetica, storia della scienza, letteratura, scrittura giornalistica, cinematografia, e nel periodo
estivo hanno seguito lo sviluppo della ricerca, partecipando poi al monitoraggio dei volontari
durante la visita alla mostra.