Traffico di migranti: il Premio Estense va al libro di Francesca Mannocchi

Tania Droghetti

Io Khaled vendo uomini e sono innocente: se ci voglia o no un punto interrogativo in fondo al titolo del libro di Francesca Mannocchi, edito da Einaudi, che sabato 28 settembre ha vinto la 55esima edizione del Premio Estense, è la domanda o meglio il tema al centro del libro stesso, il quesito che ha spinto la giornalista a raccontare la storia non di un migrante ma di un trafficante, per cercare di capire cosa succede e perché prima della traversata del Mediterraneo che tutti vediamo in tv o leggiamo sui giornali.

Francesca perché hai scelto di utilizzare la prima persona, di far parlare direttamente Khaled?

So che questo trasforma il testo più in un saggio che in un’inchiesta vera e propria ma l’intento era in effetti quello di togliere la prima persona giornalistica e ogni altro filtro, di mettere al centro la voce del protagonista, la voce di un colpevole. Quando, con il mio editore, ci siamo seduti intorno a un tavolo per decidere di chi avremmo parlato nel libro abbiamo pensato che la storia di un trafficante avrebbe consegnato a noi e al lettore molte più domande, ci avrebbe permesso di affrontare la questione da un altro punto di vista. Mentre riascoltavo e trascrivevo le registrazioni delle interviste a Khaled mi rendevo sempre più conto che mi ero illusa di aver capito quello che era successo e stava succedendo in Libia ma che in realtà non era così, troppe cose non sapevo.

Chi è veramente Khaled? Chi sono i trafficanti di essere umani?

Khaled è la sintesi di tre ragazzi che ho conosciuto durante il mio viaggio in Libia, uno in particolare gli somiglia molto, si chiama Ibrahim ed è di Misurata. Ha preso parte alle battaglie della Primavera araba del 2011, ha lottato per abbattere la dittatura di Gheddafi, poi però le grandi speranze che avevano alimentato quel movimento sono cadute in un vuoto di potere. Dopo 42 anni di regime la gente si è ritrovata più povera di prima, in coda al bancomat per prelevare il proprio denaro. Tripoli oggi è una città ipermoderna e multiforme, le cui periferie però portano ancora i segni dei bombardamenti. In quel vuoto ha trovato terreno fertile un sistema molto vicino a quello della mafia: ognuno, nella catena del traffico di essere umani, ha un suo compito ben specifico e non si sente responsabile del tutto, sono indulgenti con se stessi. Ibrahim mi ha detto che per lui fare il trafficante è una specie di lavoro a progetto, <mi compro due case e poi smetto>. Lui sostiene che i migranti gli sono grati perché gli permette di attraversare il Mediterraneo, si autoassolve dicendo che se ci fosse un modo legale per arrivare in Europa lui non farebbe il trafficante di essere umani. Ibrahim/Khaled è nato e cresciuto sotto il regime, non ha conosciuto altro che violenza e ritorsioni. Il padre per lui non è stato un buon esempio quindi guarda al nonno come figura di riferimento, una persona che ha conosciuto e vissuto la libertà e che rappresenta la salvaguardia della memoria.

Quindi per te Khaled è davvero innocente? 

No certo, avrebbe potuto comunque scegliere altre strade per sopravvivere, è un delinquente ma io credo che nessuno ci nasca e raccontando la sua storia, il percorso che ha fatto per arrivare da rivoluzionario a trafficante di essere umani volevo restituire almeno un po’ della complessità della storia che sta vivendo la Libia, portando un punto di vista meno noto. Uno dei ragazzi che ho incontrato mi ha raccontato che da bambini, durante il regime di Gheddafi, loro alla tv al pomeriggio guardavano il programma Bim bum bam, esattamente come facevo io, solo che a un certo punto tutto si interrompeva per trasmettere in diretta nazionale un’impiccagione di un oppositore del regime. Non è possibile slegare il passato, l’ambiente in cui queste persone sono  cresciute, dal loro presente. Oggi molti giovani libici sono nostalgici della dittatura, <prima non si sentiva nessun odore – spiegano – oggi invece si sente solo puzza>. La Libia, da aprile, sta affrontando la terza guerra in meno di otto anni e l’Europa sembra essere una comparsa in un film girato da altri. Non ci sono soluzioni facili ma certo se si rendessero gli spostamenti legali qualcosa si potrebbe fare. Io difendo il diritto delle persone di potersi muovere in modo legale.

Il libro in alcuni passaggi è come un pugno nello stomaco per chi legge…

Ho cercato il distacco, ho cercato di depurarlo di molta emotività, di lasciare solo il racconto. Anche il titolo in realtà è stata una battaglia persa con l’editore, io ne avevo in mente un altro, più freddo.

Come si arriva a scrivere un testo così?

In un modo che oggi purtroppo il giornalismo fatica a fare suo: con il tempo, la calma e l’ascolto senza pregiudizi. Ci tengo a dire che questo libro è veramente un lavoro corale.

Un lavoro che ha particolarmente colpito i ragazzi delle scuole, che tu tieni sempre molto a incontrare, anche durante la consegna del premio

Sì è così. Con i ragazzi si stabilisce sempre da subito una grande empatia, si sentono coinvolti nella storia di Khaled, che in fondo è poco più grande di loro e vive non troppo lontano da loro. Gli incontri con gli studenti danno vita ogni volta a tante domande spontanee, dico sempre che preferisco una presentazione in libreria in meno e una in più nelle scuole, per raccontare pezzi di storia che non si conoscono.

 

E il racconto continuerà anche nel prossimo libro di Francesca, Porti ciascuno la sua colpa in uscita il 3 ottobre per Laterza, una raccolta di esperienze dirette di chi decide di attraversare il mare, di chi arriva in Europa ma continua a portarsi dentro e dietro la guerra e di chi invece decide di restare.

 

Francesca Mannocchi si è giocata fino all’ultimo voto l’Aquila d’oro con il libro di Alberto Mingardi La verità, vi prego, sul neoliberismo edito da Marsilio. Gli altri due finalisti erano Marchionne lo straniero di Paolo Bricco (Rizzoli) e Il borghese di Vittorio Feltri (Mondadori).

 

In contemporanea al Premio Estense, organizzato da Confindustria Emilia Area Centro, è stato consegnato anche il 35° Riconoscimento Gianni Granzotto. Uno stile nell’informazione che quest’anno è andato a Lucia Annunziata.

(Foto di Tania Droghetti)