Stella marina

Da se stessi non si fugge.

Ma lungo il sentiero si muore, si perdono parti di sé, si abbandonano crisalidi.

Forse più degli uomini, le donne sanno morire. E rinascere.

Penelope non sapeva quante vite le sarebbero rimaste.

E sognava, negli abissi dell’anima, una dissoluzione silenziosa. Avrebbe voluto addormentarsi senza rumore, come una stella marina blu sulla rena, accarezzata dalla coperta del mare.

Staccarsi come una foglia e danzare tra le braccia del sole, per lasciarsi cadere, affastellarsi nella fratellanza di un tappeto dorato, e rigenerarsi negli umori della terra. Che la sua vita si sciogliesse in versi che cavalcano le note di una straniera melodia.

Perché Penelope avvertiva, ai piedi dell’Oceano, che c’era un unico discorso: voci lontane che si mescolavano e, nell’onda disuguale, parlavano la stessa lingua.

Avrebbe allora forse un giorno accartocciato il suo corpo, per srotolarsi in parole.

Chiedendo come ultimo regalo ciò che ogni creatura in fondo cerca. Uno sguardo d’amore.

(E.Rossi, Le sette vite di Penelope, LietoColle, 2012)