Al MEIS il Rinascimento parla ebraico

Tania Droghetti

<Il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah c’è, è dinamico e più che intenzionato a dare un contributo concreto alla storia della cultura italiana>, sono parole chiare e decise quelle con cui il direttore del MEIS Simonetta Della Seta presenta la mostra Il Rinascimento parla ebraico che inaugura il 12 aprile nella sede di via Piangipane 81 e che resterà aperta fino al 15 settembre.

L’esposizione fa parte del percorso Ebrei, una storia italiana iniziato alla fine del 2017 con la mostra inaugurale del MEIS dedicata ai primi mille anni della presenza degli ebrei nella penisola, tuttora visitabile. <Proseguiamo nella mission di questo museo, far conoscere la storia di un popolo che si intreccia fortemente con quella di questo Paese – sottolinea il presidente del MEIS Dario Disegni – la Shoah è solo uno degli ultimi capitoli di un racconto lunghissimo, iniziato più di duemila anni fa e di cui il Rinascimento rappresenta una parte fondamentale, un periodo storico che ha visto gli ebrei attivi protagonisti e la conoscenza della cultura ebraica molto presente tra i grandi artisti dell’epoca, da Giotto a Michelangelo, da Raffaello a Mantegna>.

In mostra quindi testi, dipinti, sculture e vari oggetti legati alla cultura ebraica risalenti al periodo rinascimentale, oltre alle video installazioni già utilizzate per I primi mille anni. I curatori sono Giulio Busi e Silvana Greco.

Giulio Busi, cosa accomuna tutte queste opere?

Fondamentali sono le coordinate storiche, dal 1300 fino al periodo più significativo che va dal 1470 al 1530. E’ molto difficile reperire documenti e manufatti di quell’epoca. In mostra siamo riusciti ad avere il più antico armadio sacro ligneo datato che si conosca, viene da Modena, risale al 1472 e al suo interno venivano conservati i rotoli della Torah. Al suo fianco è esposto il sefer Torah, il rotolo della Torah ancora usato per la lettura liturgica più antico esistente al mondo, scritto tra il 1245 e il 1269 e proveniente dalla sinagoga di Biella

(E qui merita di essere aperta una parentesi per raccontare una breve storia legata proprio a questo sefer Torah che a luglio lascerà la mostra per tornare in Piemonte ed essere letto durante il Bar Mitzvà di un ragazzo americano di 13 anni la cui famiglia, originaria di Biella, ha scelto di rientrare in Italia per questo fondamentale passaggio nella vita del figlio).

Alla base di questa esposizione voi curatori proponete una tesi…

Senza il Rinascimento l’ebraismo non sarebbe quello che è ma è vero anche che senza la presenza degli ebrei e della loro cultura il Rinascimento non sarebbe stato quello che è stato. Gli ebrei hanno svolto un’importante funzione economica, anzi si può dire che sono stati un vero e proprio motore economico. Fino alla metà del ‘500, prima dei ghetti, hanno vissuto insieme agli altri, si sono mossi nelle corti, hanno interagito con i più importanti artisti del periodo, vedi la presenza delle scritte in lingua ebraica nelle opere di Giotto, Raffaello, Michelangelo (presenti in mostra nelle video installazioni, ndr.) o Mantegna, di cui abbiamo esposta la Sacra famiglia e famiglia del Battista del 1504-1506, una delle ultime opere realizzate dall’artista prima della sua morte. Nel quadro Giuseppe indossa sul capo una fascia su cui compaiono lettere ebraiche che vanno a formare la parola “av” cioè “padre”.

La cultura umanistica del Rinascimento scopre che può differenziarsi dal Medioevo leggendo e riscoprendo la lingua ebraica, dopo il greco e il latino.

Ad affascinare e colpire gli intellettuali del tempo è anche l’aspetto più misterioso dell’ebraismo, avete dedicato una sala a Pico della Mirandola, perché?

Perché è stato un grande studioso della qabbalah, la mistica ebraica. Secondo lui negli scritti dei mistici ebrei si nasconde una sapienza preziosa che permette di leggere in modo nuovo la Bibbia. Fu lui, grazie al suo traduttore dall’ebraico Flavio Mitridate, a dar vita alla prima raccolta di opere mistiche ebraiche in lingua italiana.

In quel periodo però non mancarono scontri, violenze e discriminazioni

Certo, il Rinascimento non è la Rinascente. Il caso forse più drammatico avvenne a Trento nel 1475, quando quindici ebrei vengono uccisi dopo essere stati accusati della morte, a scopo di rito durante la Pasqua, del bimbo cristiano Simon Unferdorben. Simonino da Trento viene proclamato martire e la sua venerazione viene ammessa dalla Chiesa nel 1588 e soppressa solo nel 1965. In mostra abbiamo una scultura dei primi del ‘500 che rappresenta il presunto martirio del bambino.

Silvana Greco, qual è il ruolo delle donne ebraiche nel Rinascimento?

Sono molto attive nella sfera pubblica, copiano manoscritti, prestano denaro, sono imprenditrici e diventano anche medici. Particolarmente significativa abbiamo ritenuto fosse la storia di Gracia Nasi, nata nei primi del ‘500 a Lisbona in una famiglia di conversos, “convertiti”, cioè di ebrei che avevano abbandonato la loro fede religiosa per diventare cristiani e sfuggire alle persecuzioni. Si sposò giovane e rimase presto una ricca vedova. Fu un’abilissima donna di affari che visse ad Anversa, a Venezia e anche a Ferrara. Rimase per tutta la vita un’ebrea nel cuore e a lei si deve la traduzione della Torah in ladino, la lingua parlata dagli ebrei spagnoli convertiti, che poterono così leggere di nuovo il testo sacro. Gracia si rifugerà a Costantinopoli, si riconvertirà all’ebraismo e sarà in un certo senso una dei primi “sionisti”, invocando per gli ebrei la necessità di una patria comune. Quindi possiamo dire che anche il Rinascimento femminile parla ebraico e si fa sentire.

Giulio Busi, Ferrara e gli Este che ruolo hanno in questa parte della storia e in questa mostra?

Alla corte ferrarese gli ebrei sono di casa. La mostra si apre e si chiude con una video installazione della Pala Roverella (nella foto). L’opera originale fu realizzata verso il 1475 dal ferrarese Cosmè Tura e ai lati della Madonna si trovano dipinte due grandi tavole in ebraico che contengono il decalogo. E’ probabile che ad influenzare Tura sia stato Pellegrino Prisciani, personaggio di spicco della corte estense, a sua volta influenzato dall’incontro con Avraham Farissol, un ebreo originario di Avignone che visse la maggior parte della sua vita a Ferrara. Farissol era un intellettuale dai molti talenti ed interessi ed è probabilmente a lui che si devono le corrette scritte in ebraico sulle due tavole del quadro. A testimonianza del forte legame tra Tura, Farissol e Prisciani la forma delle tavole si ritrova anche nell’arca sepolcrale che Pellegrino ideò per il padre Prisciano Prisciani e che si trova in mostra. Dopo Tura sarà Ludovico Mazzolino, di cui abbiamo esposte due tavole, a continuare la tradizione dei pittori ferraresi dell’inserimento di frasi in ebraico nelle proprie opere.

Spetterà ai visitatori, al termine della mostra, dare torto o ragione alla tesi dei curatori secondo cui non c’è Rinascimento italiano senza ebraismo e non c’è ebraismo italiano senza Rinascimento.

La mostra ha il patrocinio del Ministero per i beni e le attività culturali, della Regione Emilia-Romagna, del Comune di Ferrara, dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane – UCEI e della Comunità ebraica di Ferrara.

Tutte le informazioni su orari e tariffe sono reperibili sul sito www.meisweb.it