Varotti porta sul palcoscenico Bassani

Tania Droghetti

Il dottor Athos Fadigati torna a casa, nella sua Ferrara. Il protagonista del racconto Gli occhiali d’oro, scritto nel 1958 da Giorgio Bassani, salirà sul palco della Sala Estense sabato 6 aprile alle 21 per far rivivere la sua storia di medico omosessuale nella Ferrara fascista di fine anni ‘30. A vestirne i panni e ad indossarne i famosi occhiali sarà Carlo Varotti, che è anche autore dell’adattamento teatrale dell’opera di Bassani. 

Perché la scelta di portare sul palcoscenico Giorgio Bassani?

Amo Bassani. Insegno letteratura italiana all’Università di Parma, potevo occuparmene da studioso, scrivendo saggi storico-critici o analizzandone le carte, ma io spesso mi dico che gli autori legati al nostro piacere di lettori è meglio non affrontarli accademicamente ma goderseli dopo cena, ascoltandone la voce, senza la schiavitù di trarne schede e appunti e senza il peso di bibliografie critiche. Portare Bassani a teatro per me è un proseguimento del piacere della lettura, con altri mezzi.

Perché proprio Gli occhiali d’oro? Sappiamo che in realtà questa rappresentazione fa parte di una trilogia…

Mi interessava mettere in rilievo le ragioni ‘civili’ di una scrittura che si è misurata con drammi terribili della nostra storia come l’avvento del fascismo, lo scandalo delle leggi razziali, la tragedia della guerra, anche civile, ma sempre con un tocco inimitabile. Bassani non insegna, non si abbandona mai alla retorica edificante: la sua disponibilità a entrare nei cuori dei personaggi è il suo vero insegnamento etico, fatto di disponibilità a capire gli uomini, a interrogarsi sulle ragioni del loro agire.

Un esercizio etico straordinario, che mi sembrava più evidente proprio là dove lo scrittore si misura con personaggi su cui grava il peso dell’esclusione, della solitudine di chi, per le più varie ragioni, è diverso. Il Novecento dovrebbe, e purtroppo il condizionale è d’obbligo, averci insegnato quanto sia pericoloso un certo modo di dire “noi”: quando cioè il “noi” non esprime il senso condiviso di una comunità solidale ma diventa l’espressione di chi si identifica in qualcosa cui demandare una risposta alle proprie insicurezze, si tratti di un’ideologia politica, di una nazionalità/etnia o di una religione. Per questo ho scelto per la mia trilogia teatrale due racconti di Bassani, Una notte del ’43Una lapide in via Mazzini e un romanzo, Gli occhiali d’oro,che hanno per protagonisti altrettanti esclusi, il farmacista sifilitico di Una notte, il medico omosessuale degli Occhiali e l’ebreo sopravvissuto a Buckenwald di Una lapide, che fra l’altro è pronto per essere messo in scena, chissà che la prima non possa essere alla Sala Estense, con il patrocinio della Fondazione Bassani.

La trasposizione dal racconto al testo teatrale porta con sé delle differenze, anche sostanziali, quali in questo caso? Quali sono le peculiarità di questa rappresentazione? Chi è il suo dottor Fadigati?

Nei testi di Bassani da cui sono partito il punto di vista del narratore non è mai quello del protagonista, ma è sempre esterno al personaggio. In Una nottee in Una lapidesono molto rari i discorsi diretti dei protagonisti, qualcosa di più c’è invece negli Occhiali, dove il narratore è un giovane studente ebreo ferrarese che studia Lettere a Bologna, con evidenti richiami all’autore reale. La scommessa era quella di dare una voce al personaggio, raccogliere i particolari della sua vita disseminati nel testo e farli raccontare da lui. Il dottor Fadigati, per anni misuratissimo e controllato, sceglie improvvisamente la via del suicidio sociale esibendo provocatoriamente quella omosessualità per anni celata, per poi arrivare al suicidio vero e proprio. E’ un gesto che nel romanzo rimane misterioso e inspiegabile e tale resta nel testo teatrale. Ma il far parlare sulla scena Fadigati ha costretto a dare enfasi emotiva ai tanti piccoli segnali che Bassani ha disseminato nel suo testo. La sofferenza di Fadigati è allora quella di un uomo di acuta sensibilità, dotato di una cultura raffinatissima e squisita, che si misura con una società superficiale, troppo spesso feroce e tutto ciò è affidato alla figura della signora Lavezzoli, interpretata da Sabrina Bordin, il solo personaggio del romanzo, oltre al dottor Fadigati, che sia in scena.

Ma soprattutto si trattava di mettere in rilievo quel distruttivo senso di colpa che rende plausibile la catastrofe finale. Bassani lo indica con la delicatezza di una scrittura fatta di suggestioni sottili, penso soprattutto alle pagine del dottore con il cane, verso la conclusione del romanzo. Sulla scena il senso di colpa andava più esplicitato e soprattutto affidato alla parola teatrale..così nel finale ho voluto servirmi di alcune suggestioni tratte da Sodoma e Gomorra di Proust, che ha scritto pagine bellissime sulla condizione omosessuale e che era autore molto amato da Bassani, 

Con questo progetto andate anche nelle scuole

E’ un aspetto cui sono particolarmente sensibile. Prima di entrare all’università ho insegnato per 12 anni nei licei: un’esperienza di cui sono orgoglioso.

Ritengo notevolissima l’importanza educativa e formativa di un autore come Bassani: per i temi e le riflessioni che sollecita, ma anche per la qualità della sua scrittura, che sa essere abbordabile ma mai banale.

Ferrara è la città di Bassani, la città della trilogia, la città degliOcchiali d’oro…quali sono le sensazioni, le emozioni, le paure o le aspettative nel mettere in scena lo spettacolo qui?

E’ un’emozione straordinaria che desideravo provare da quando il progetto è nato, nel 2016, con la prima rappresentazione di Una notte del ‘43. E per questa grande opportunità voglio davvero ringraziare Paola Bassani, figlia di Giorgio, che ha sostenuto il progetto: senza di lei questa serata ferrarese non ci sarebbe stata.

La regia tecnica, la musica e le immagini sono di Alessandro Pirotti, con le voci fuori campo di Andrea Grillini, Silvia Lamboglia, Giuseppe Montemarano, Andrea Tallone, Lorenzo Castiello.

Oltre che con la Fondazione Bassani, lo spettacolo, che è ad ingresso libero, è realizzato in collaborazione con il Comune di Ferrara, il Museo del Risorgimento e della Resistenza e l’Associazione culturale Arch’è.