LA GARITTA DI SAN GIORGIO
Anna Cervellati
Guardo. Guardo i raggi del sole che accarezzano i mattoni in pietra a vista ed illuminano quella scritta che, eterna come Roma, non dimostra affatto i suoi quattrocento anni. “JVULIO CARD SACCHETTO LEG”: queste le parole incise su pietra bianca nel barbacane di San Giorgio.
Parole impermeabili che stanno incise, parole che hanno affrontato le intemperie, parole antisismiche capaci di sopravvivere ai terremoti, parole che restano custodi del passato. Alzo gli occhi e sopra a quella scritta scopro lei con le sue forme curvilinee, la sua massiccia presenza, il suo colore rossastro: lei, la sola garitta rimasta sui nove chilometri di mura.
Vedo. Vedo i raggi del sole penetrare nella stretta feritoia come se volessero riscaldare un luogo che se avesse voce potrebbe raccontare di un freddo dolore, di umide paure, di gelo, di tiepide speranze, di attese.
Immagino. Immagino fucili appoggiati su quella feritoia da soldati che tenevano nel cuore il desiderio di diventare padri e di riabbracciare una madre e con lei ciò che ogni madre dovrebbe rappresentare: riparo, certezza e vita. Parole e speranze che ogni guerra cancella.
Osservo. Osservo l’ombra delle foglie che sembrano lunghe mani dalle dita affusolate proiettarsi sul barbacane: macchie verdi, allungate, che sembrano solleticare il marrone (rossastro) dei mattoni.
Sento. Sento lo scricchiolio delle foglie secche che si frantumano ad ogni passo e restano ferme sul terreno come coriandoli gialli e verdi lanciati festosi da bambini mascherati.
Sotto al barbacane di San Giorgio c’è il carnevale della natura!
Avverto. Avverto l’odore di muschio insieme una tiepida umidità che accetta di essere timidamente riscaldata dal sole di febbraio e il pulviscolo nell’aria sollevato dai passi veloci dei podisti, che si allenano lungo quel circuito fortificato.
“Prof, guardi… siamo qui!”, alcune dita frenetiche indicano il punto esatto sulla mappa. Il vociare dei ragazzi indirizza il mio sguardo al cartello che, posto al di là della strada, segnala il percorso di un tratto di sottomura. Cartello sgualcito che nella mia mente si contrappone all’eternità della scritta JULIO CARD SACCHETTO LEG incisa sul marmo.
Immagini di tempi diversi.
Tempi in cui si costruiva per mantenere, per fare durare, contro tempi in cui di costruisce per usare e consumare. Tempi in cui si manteneva tutto anche in periodi complicati, contro tempi in cui si tende a consumare tutto, anche i rapporti più profondi.
Guardo quelle due tipologie di scritte così diverse, mi pulisco gli occhiali e penso che dovrò lavorare per insegnare e soprattutto testimoniare ai miei ragazzi ciò che nella società manca: impegno e costanza per mantenere negli anni ciò che conta.