La fine del mondo

Io non sogno mai. Quasi mai, almeno: è molto frequente che sogni quando dormo in un luogo diverso dal solito – un hotel, case vacanza o la mia vecchia camera da letto dai miei genitori – ma, quando sono nel mio letto, piombo sempre in rigenerante sonno privo di immagini. Qualche giorno fa però ho sognato qualcosa che mi ha colpita nel profondo. Era il trentuno di dicembre, l’ultimo giorno dell’anno, e il mondo sarebbe finito l’indomani. Tutti sapevano che quelle sarebbero state le ultime ore della Terra. Inquietante, no? Anche se non veniva mai menzionato, per qualche motivo sapevo che sarebbe accaduto per via dell’esplosione del Sole, che avrebbe bruciato in un attimo tutto ciò che conosciamo. Non sarebbe rimasto più niente dell’umanità: secoli e secoli di grande storia dimenticati per sempre, assieme ad ancor più eventi triviali di cui nessuno si sarebbe ad ogni modo mai ricordato. Siccome non c’era modo di evitare la catastrofe, nel mio sogno l’umanità rassegnata aveva deciso di trascorrere quelle ore tra i festeggiamenti dell’ultimo dell’anno, come se fosse un Capodanno normalissimo. Ma immagino che probabilmente si trattasse di una metafora elaborata dal mio inconscio, no? Il mio cervello dormiente ha processato che l’ultimo giorno del mondo non poteva che essere in contemporanea l’ultimo giorno dell’anno. Coerente, logico, rassicurante.
Nel sogno c’era chi aveva deciso di trascorrerlo in famiglia, riunendo gli amici più stretti attorno a un tavolo imbandito, oppure in festeggiamenti sfrenati, con fiumi di alcool e musica altissima – perché, in fondo, chi mai si sarebbe lamentato del volume troppo alto, l’ultimo giorno del mondo? L’unica cosa che accumunava tutti era la corsa alle risorse: donne e uomini di qualunque età erano così preoccupati della riuscita della serata che si affaccendavano per la città alla ricerca degli ingredienti per preparare il loro piatto preferito, del regalo perfetto per i loro figli, dell’ultimo biglietto disponibile per raggiungere la festa a cui dovevano assolutamente partecipare.
Io, nel sogno, la ritenevo una cosa folle e non me ne preoccupavo minimamente, anzi non riuscivo a capire come fosse possibile che tutti si preoccupassero di cose così frivole. Tutto ciò che mi importava era di passare una serata tranquilla in casa, sul divano a guardare un film con il mio ragazzo, magari una bottiglia di vino bianco. Curioso, perché nella realtà non ce l’ho un ragazzo, tuttavia nel sogno era così importante per me trascorrere la sera in quel modo.
Lui era un uomo responsabile, che si era recato al lavoro anche il giorno della fine del mondo. Aveva parcheggiato l’auto nel cortile sul retro della nostra casa, ed io ero così felice di vederlo perché fino a quel momento avevo temuto che qualcosa andasse storto, impedendogli di tornare da me. Però, quando gli ero corsa incontro, lui aveva cominciato a farneticare che aveva incontrato per strada diverse persone disperate perché la loro fine del mondo non si sarebbe realizzata nel modo in cui speravano: c’era una donna a cui era stato rubato il triciclo che aveva comprato per suo figlio, un anziano rimasto in panne con l’auto e si trovava nell’impossibilità di raggiungere la moglie, una ragazza sconfortata perché nella concitazione aveva perso il cellulare. E lui, il mio ragazzo, aveva promesso a tutti loro che li avrebbe aiutati. Io tentavo di convincerlo a restare dicendogli che non doveva curarsi degli altri, l’unica fine del mondo che contava era la nostra, eppure lui ripeteva di dover andare perché aveva la responsabilità di salvare quelle persone, ma che sarebbe tornato in tempo per la nostra serata.  Alla fine, quella che si lasciava convincere ero io, e lui saliva nell’auto parcheggiata nel cortile del retro e se ne andava in retromarcia. Il sogno finiva così.
Quando l’ho raccontato alla mia psicoterapeuta, lei mi ha domandato: «Perché pensi che questo sogno ti abbia spaventato tanto?»
«A chi non spaventa la fine del mondo?» ho risposto io. «Lei pensa che l’umanità possa davvero estinguersi?»
«È probabile, ma…»
«Per il cambiamento climatico, dice?»
Lei si ferma, ci pensa un po’. «Beh, è assodato che un giorno il Sole finirà il suo ciclo vitale e tutti i pianeti del sistema solare moriranno con esso, inclusa la Terra. Perciò, anche se l’umanità trovasse il modo di…»
«Sì, ma per allora avremmo di sicuro trovato il modo di colonizzare un altro pianeta disabitato. Voglio dire, fisica e ingegneria aerospaziale fanno passi da gigante, no? Ci arriveremo per certo.»
«Questa prospettiva ti dà un senso di sicurezza?»
«Penso di sì. Però ci sono dei “ma”. Ad esempio, che succederebbe se ci scontrassimo con una civiltà aliena per la colonizzazione di un nuovo pianeta? Magari anche loro sono in punto di morte e ne hanno bisogno di sopravvivere. Lei pensa che l’umanità potrebbe vincere una guerra con una civiltà extraterrestre?»
Di nuovo, la mia psicoterapeuta si prende un po’ di tempo per pensare. «Non c’è nessuna prova che esistano altre forme di vita oltre a noi.»
«No, ma è altamente probabile che esistano. L’universo è sterminato, non è immaginabile che siamo soli in esso.»
«Questo è vero, ma se non siamo soli com’è che non siamo mai entrati in contatto con nessun altro?»
«Questo è il paradosso di Fermi» esclamo, vittoriosa. La psicoterapeuta sta per rispondere, quando sentiamo tintillare la campanellina meccanica che segna la fine dell’ora. Allora lei si zittisce e scuote il capo, sorridendo.
«Per la prossima volta vorrei che pensassi alla ragione per cui quel sogno ti ha impressionata tanto.»
Io rimango zitta, ben conscia di aver fatto di tutto nel corso della seduta per aggirare quella domanda.
«Oppure, in alternativa, puoi risolvere il paradosso di Fermi» aggiunge, sorridendo. Dopodiché mi congeda.
Sulla strada di casa provo un senso di tristezza e di vuoto al pensiero che potremmo essere soli nell’universo. Ma in fondo, che importerebbe? A me basterebbe avere qualcuno che desideri passare con me l’ultima notte del mondo.
Continuo ad avere l’impressione che il tempo scorra troppo in fretta, e la mia vita procede a rilento come quando, proprio in un sogno, cerchi di correre da qualche parte ma le gambe non ti obbediscono. Vorrei una famiglia – credo. Non mi sono mai soffermata a pensarci seriamente, dato che non ho mai avuto una relazione abbastanza duratura. E poi, anche se ce l’avessi, quanto tempo passerebbe prima che fossimo in grado di mantenerla con le nostre risorse? Forse è proprio così, non c’è abbastanza tempo per avere un futuro. Il timer per la fine del mondo continua a ticchettare. Che domanda stupida, quella della mia psicoterapeuta: sarebbe stato molto più logico porsi delle domande se un sogno del genere non mi avesse spaventata.