Leggere serve a fortificarsi

Forse è il colore verde acido della costa, che tra le altre spicca sullo scaffale, a farci scegliere un libro: o, forse, è il titolo: quello delle raccolte poetiche, ad esempio, dice molto; richiama e incanta quasi fosse un canto omerico di sirene.
E il caso, poi, dove lo mettiamo il caso nella cosiddetta scelta? Magari il libro è poggiato lì sullo scaffale perché il libraio non lo ha ancora opportunamente posizionato o intende , per qualche suo motivo, promuoverlo in questo modo o, addirittura, potrebbe trattarsi di un libro abbandonato, da qualche sconosciuto, lì su un prato, tra l’erba verde mossa dal vento. Potrebbe essere solo un libro fuori posto ma che in quel preciso momento, al nostro passaggio, si trova nel posto giusto.
Come vedete quindi sono tanti i modi “oggettivi” attraverso i quali i libri oppongono alla nostra, la scelta che loro fanno di noi lettori.
Poi vi è un modo, indiscutibilmente valido perché “soggettivo” che è scegliere in base all’autore: il suo nome e quello che evoca in noi. E’ vero, noi vediamo, ascoltiamo e scegliamo per conoscere, ma è altrettanto vero che noi vediamo ascoltiamo e scegliamo ciò che conosciamo, cioè quello che abbiamo imparato o quello che “già” sapevamo e abbiamo dimenticato. E in questo “già” c’è l’Anima.
Dopo questa breve introduzione posso passare all’argomento del post: l’IO e il “doposcuola” psicoanalitico di Walt Whitman: il termine scuola sarebbe stato pretenzioso e lo stesso poeta lo avrebbe disdegnato.
Tutto quello che ci accade giorno e notte-come ad esempio, imbatterci in un libro dalla costa color verde acido – non costituisce il nostro IO.

In disparte da quanto ci sollecita e ci urge sta ciò che noi veramente siamo e se ne sta divertito, compiacente, compassionevole, inerte, unitario a guardare all’ingiù volgendo di lato la faccia, incuriosito da quello che accadrà, partecipe ma fuori dal gioco; osserva e stupisce.

Ecco cosa fa il nostro amato Whitman, invita ad ascoltare noi stessi come se fossimo al di qua, ovvero, al di là di una porta, ad origliare dunque per entrare in contatto (percepire chiaramente!) una dimensione inattesa e differente da quella che sperimentiamo giorno e notte grazie ai nostri sensi e alla nostra “cultura” che è spirito del tempo; perché l’ ”io” secondo Whitman è diviso in tre parti : il mio io, il vero io e la mia anima. Tale mappa psichica è del tutto originale ed irriducibile al modello d’inconscio freudiano o a qualunque altra mappa della mente.
Whitman inizia il suo Il Canto di me stesso con un incontro tra il suo io e la sua anima come se fossero due amici: uno dei due amici (l’anima) appare all’altro come un’enigma, meglio, come una persistenza pre-esistente e che persisterà anche dopo l’ esistenza dell’io. Potremmo definire “carattere” questo enigma, in contrapposizione alla “personalità” propria dell’io.
Nel Canto di me stesso l’Io, la personalità (maschera= prosópon=persona) poetica dell’autore, si rivolge al vero Io ma qui accade che l’autore dia la chiara impressione di conoscere perfettamente sia la propria maschera poetica, sia il vero io ma di non conoscere quella che chiama anima mia perché l’anima non si può conoscere; all’anima si può solo credere.
L’anima quindi resta un rebus malgrado questo abbraccio armonioso e questo trasporto tra lei e l’io.
Leggendo Whitman scopriamo che il vero io è la parte migliore di noi, precedente alla Creazione, e che è questa parte a fare i conti e a intrattenere una relazione con l’io e l’anima che a questo punto si rivelano essere lo Spirito (non inteso in termini religiosi , quanto il combinato disposto weiliano di comprensione e percezione; di Ragione ed Emozione ) e la Natura: l’uno e l’altra devono rispettarsi e mai soccombere l’uno all’altra!

Credo in te, anima mia, e l’altro che io sono non dovrà mai umiliarsi a te,/come tu non dovrai umiliarti all’altro.

Il racconto poetico di questo abbraccio tra l’io, la persona Walt Whitman, e l’anima è una delle ragioni per cui leggere dovrebbe essere ritenuto un DOVERE. Leggere infatti serve a fortificare l’io e non è importante se si tratti dell’ ”io” che si trova da questa o dall’altra parte della porta. Non è importante sapere se abbiamo scelto quel libro per la sua copertina verde acido o per il titolo o perché ci è piovuto tra le braccia dallo scomparto in alto a destra dello scaffale o perché lo abbiamo casualmente trovato in mezzo a un prato: quel libro va letto perché leggerlo ci aiuterà a diventare più forti a dare più fiducia a noi stessi e, di conseguenza, donarla a quelli che incontriamo, a coloro che amiamo. Il libro serve ad avere fiducia e fede, e a dare fiducia e fede in quello che sarà.
Leggere, e in particolare leggere Walt Whitman, vuol dire “solo” dare più ascolto e più voce alla Vita: di qua e di la dalla porta.
Il canto di me stesso è costituito da 52 “pagine” di un diario ; pagine, quindi, scritte in gran segreto e destinate ad essere custodite in un cassetto se non fosse che chi le ha scritte, appunto, non è un “chi”, non è un io, non è una persona, ma un noi che attraverso il vero io riesce a tradurre ciò che l’Anima tace.
Di seguito riporto solo le prime 3 “pagine” di questo diario abbandonato su un fazzoletto del Signore e sfogliato dal vento. Fogli d’erba sempre verde, in tutte le stagioni dell’io, alle non-stagioni del vero io; al dovunque-sempre dell’Anima.

1
Io celebro me stesso, canto me stesso, /E ciò che io suppongo devi anche tu supporlo /Perché ogni atomo che mi appartiene è come appartenesse anche a te.
Ozioso m’attardo e invito l’ anima mia,/Ozioso m’attardo a mio agio e mi curvo ad osservare un filo
d’erba estiva.

La mia lingua, ogni atomo del mio sangue, prodotto da questa terra, da quest’aria,/Qui nato, da genitori nati qui, i loro padri e i padri dei padri nati anche loro qui,/lo, a trentasettenne e in perfetta salute, incomincio,/Sperando di non cessare che alla morte.

Credi e scuole in sospensiva,/Un poco indietro ritrattomi, contento di ciò che essi sono, /ma non scordandoli ,/Accolgo il bene e il male, lascio parlare a caso,/La Natura senza freno e con la nativa energia.

2
Case e stanze son tutte profumate, gli scaffali gremiti di profumi/ Io stesso inalo la fragranza, e la conosco e l’amo,/La sublimazione potrebbe inebriare anche me, ma io non lo permetto./L’atmosfera non è un profumo, non ha la fragranza della sublimazione, è inodore,/E’ destinata per sempre alla mia bocca e io ne sono innamorato,/Andrò sulla scarpata presso il bosco, per mascherarmi, per denudarmi,/Sono pazzo dal sesiderio di venirne in contatto.

Il vapore del mio fiato,/Echi, increspature, soffocati sussurri, radice d’amore, filo di seta, biforcazioni, viticci,/ La mia respirazione e inspirazione, il pulsare del mio cuore, il transito del sangue e dell’aria per i miei polmoni,/L’odore delle foglie verdi e delle foglie secche, e della spiaggia, e delle brune rocce marine, e del fieno nel fienile,/Il suono delle parole vomitate, della mia voce affidata ai refoli del vento,/Pochi labili baci, una stretta, qualche braccio proteso,/Gioco di luci e d’ombre sugli alberi, quando oscillano i flessili rami,/La delizia di trovarsi solo, o tra la folla per strada, o nei campi, o sui fianchi d’una collina,/La sensazione di salute , il trillo del pieno meriggio, il canto di me che mi levo al mattino e vado incontro al sole.

Credevi che mille acri fossero molto? Credevi che la terra fosse molto?/Ti sei esercitato tanto per imparare a leggere?/Ti sei sentito così superbo perché intendevi il senso delle poesie?

Fermati oggi con me, fermati questa notte, e tu capirai l’origine di tutte le poesie,/Possederai il bene della terra e del sole (sono rimasti ancora milioni di soli,)/Non riceverai più le cose di seconda, terza mano, non dovrai più guardare attraverso gli occhi dei morti, né nutrirti di spettri nei libri,/Non dovrai guardare attraverso gli occhi miei, né ricevere sensazioni per mezzo mio,/Percepirai d’ogni parte suoni e li filtrerai attraverso te stesso.

Forza. Continuate a leggere