Quel «motel alla fine del mondo»

Consigli di lettura

La panchina del silenzio

ai margini di un sorriso

di Matteo Pazzi

Il silenzio offre una panchina per fermarsi, a lato del frastuono di ogni giorno, «ai margini di un sorriso».

Matteo Pazzi mi affida questo prezioso plico inedito di poesie una sera di novembre; ci rivediamo a Voghiera, dopo quasi tre mesi di forzata lontananza: un “viaggio” non scelto lo ha portato a «perdere orizzonti ma a trovare nuovi sogni», «a trovare nel buio tantissime ombre amiche».

Sono felice di avere tra le mani le sue liriche. Perché so che la parola poetica è la fune alla quale aggrapparsi per uscire dal buio, la scia di sassolini bianchi per ritrovare la strada.

E questa silloge è un testo imbevuto di luce, di infinito.

Implacabile l’indice sembra additarci un percorso doloroso, cinque tappe sull’orlo del precipizio:

a. Canzoni nel vuoto

b. Il tramonto sulla panchina di un sogno

c. Quaderno del non ritorno

d. Appunti di un senza viaggio

e. Il motel alla fine del mondo.

Matteo ci fa sentire da subito la vertigine, il «vuoto», eppure ci offre l’appiglio per non lasciarsi cadere.

In ogni titolo c’è un’accezione negativa, il senso di un «non ritorno», di ritrovarsi «senza viaggio», «alla fine del mondo», ma nel contempo un barlume di forza vitale, di rinascita, di conquista: sono le «canzoni», gli «appunti», il «Quaderno», la parola scritta che è traccia dell’esistenza, il filo d’inchiostro che ci mantiene in equilibrio sul nulla.

La parola è un luogo, un enigmatico «motel alla fine del mondo». Un rifugio estremo, dove pernottare al “limite”. Al confine di tutto.

Di Matteo Pazzi amo il coraggio e l’onestà, la lucida consapevolezza racchiusa in questa poesia assoluta:

III

L’insolente speranza dell’ultima

sedia libera

in un teatro

nel quale ogni posto è occupato

permette di capire

quanto meravigliosa sia la vita

anche quando sale in cattedra

la fine.

Il disincanto di riuscire ad affermare in sei versi una nuda verità: «L’etichetta dell’infinito/ sulla fronte/ del nostro tempo/ escogita sempre la strategia/ più adeguata/ per mascherare ciò che è più importante».

La chiave è nelle parole che gelano il sangue ma dispiegano l’anima in un volo di speranza senza fine:

Spendere un’ombra per guadagnare

un orizzonte equivale a sorridere

alla vita anche quando

si trasforma in una malattia

mortale.

Un universo in divenire

Le metafore luce di Matteo Pazzi, irraggiungibili, altissime, si infilano l’una sull’altra, a volte si sovrappongono, ci confondono e sorprendono, evocando certe creature visionarie che fanno capolino nei paesaggi di Hieronymus Bosch.

Immagini che talora si fanno più nitide, come il labirinto, metafora specchio ricorrente anche nella produzione pittorica dell’artista Matteo Pazzi. Inesorabili e beffarde, come il destino.

Ma un giorno

una stella come per magia

imbarcò i cocci del mio cuore

in una lacrima simile a un labirinto

V

Maltrattare la rosa del destino

significa farsi pungere

dalle spine del suo tempo

fatto di labirinti

nei quali è impossibile perdersi

e dalle pagine bianche della solitudine.

Quando Dio lancia il dado

del destino

e, come per magia,

quel dado si trasforma

in una sfera

continuerà nei sorrisi

e nella musica del mondo

il suo viaggio per sempre.

È un mondo poetico in divenire, quello di Matteo Pazzi; un universo di «stelle con le gambe», di «zucchero filato» e di «cioccolatini con le ali», liquido come gli orologi di Mirò: si scioglie, si disfa per assumere nuove forme.

Una surrealtà di parole che bisbiglia risposte allusive: svelano un significato, ma solo per associazione emotiva.

Il parco, un pesce senza foglie,

quei vialetti da tre soldi

che si descrivono con due tratti di penna

questa sola stanza sto scrivendo

la finestra è una bocca spalancata

una tazzina di cielo

giornale non ancora sfogliato.

Altrove la parola si fa più diretta, esplicita:

Questa è la vita:

fazzoletti per asciugare

le lacrime dei sogni

quando piangono

I sogni però – ci ricorda il poeta – non hanno fine «perché i sogni/ sono quella goccia d’acqua/ grazie alla quale l’acqua/ nel bicchiere pieno fino all’orlo/ fa un balzo oltre il bicchiere».

E le lacrime «trasformano una perdita infausta/ in una catapulta/ capace di lanciare/ il cuore oltre ogni universo/ e ogni tempo».

Oltre. Al di là.

In un orizzonte dove la fine non esiste.

«Il cammino della vita inizia e finisce quando il vetro della finestra appannato dal tuo respiro permette di vedere meglio e più lontano ciò che esiste al di là della finestra».

«Continuerà nei sorrisi/ e nella musica del mondo/ il suo viaggio per sempre».

Tutto qui

Sono solo parole, lo so.

Un motel alla fine del mondo.

Tutto qui.

Grazie Matteo Pazzi per aver strappato queste parole (che non sono «solo parole») al silenzio.

Per aver scritto le «pagine bianche della solitudine», per averci accolti sulla tua panchina «ai margini di un sorriso».

Perché infine un sorriso c’è sempre.

…i nostri occhi s’incrociano

mentre la strada diventa pioggia

il cammino fatto

una specie di pozzanghera

nella quale è facile

annegare

ma, a dirla tutta,

anche sorridere, ridere,

e perché no,

amare

L’ultima parola di questo libro sublime, a picco sul bianco della pagina, è «amare».

Perché «nessuno può staccare la spina/ del tramonto».

(Eleonora Rossi)