UCCISORE DI MORTI

Qualcuno fra voi sorriderà, e buon per lui. Ma una cosa è certa: nessuno, nel ferrarese – e soprattutto a Voghiera e dintorni – sorride mai quando si parla di zombi. Men che meno quando se ne incontra uno.

L’aria che si respira, qui, non è quella delle vostre grandi città, non è quella della vita che vendono alla televisione, e neppure quella che potreste immaginare, se non avete mai vissuto quaggiù per un periodo sufficientemente lungo per capire. Qui, tutti sanno che i morti possono camminare fra i vivi. Nessuno lo mette in dubbio. Non crederci sarebbe come attraversare un’autostrada con una benda sugli occhi, convinti che le automobili non esistano. Ma che voi ci crediate o no, in fondo non ha grande importanza. Vorrei soltanto parlarvi un po’ di me, e del mio lavoro.

Tutti mi conoscono come il copamòrt, l’uccisore di morti.

La gente mi rispetta, perchè faccio qualcosa che nessun altro ha la voglia o il coraggio di fare. Lavoro per il dottor C***, che mi ha ingaggiato perché faccia da guardiano alle sue proprietà. E io lo faccio volentieri: prima di tutto perché C*** è un vero signore. E poi, perchè qua i cadàvar in pié, come li chiamano, i morti che camminano, stanno diventando una vera piaga.

Come tutte le persone ricche, C*** ha tanti amici e tanti nemici, e non necessariamente chi appartiene a una categoria non appartiene anche all’altra. E da queste parti – come dappertutto, credo – chi possiede qualcosa deve saperlo difendere.

È comodo ricorrere a uno zombi per danneggiare un avversario, per guastargli le coltivazioni, per incendiare il suo raccolto, per rubare, per fargli qualsiasi cosa… Basta pagare una strolga, una fattucchiera, e chiunque può permettersi di usare questi cadaveri risvegliati per fare ogni genere di lavoro, pulito o sporco che sia.

Ce ne sono già talmente tanti, in giro, che non è facile riconoscerli, no davvero, se non si ha un occhio allenato come il mio. Certo, se sono stati rianimati, richiamati, da poco tempo, è impossibile non accorgersi della camminata incerta, dello sguardo spento, e di quell’odore! Ma più passano i giorni, e più la differenza con i vivi si fa sottile, impercettibile. Probabilmente, chi di voi è passato attraverso queste terre, queste campagne, ne avrà incontrati chissà quanti, senza sospettare la verità.

Un metodo sicuro per riconoscerli sarebbe quello di controllare se hanno una ferita ricucita all’altezza del cuore, dove stanno i sem dal diàul, i semi del diavolo, cioè alcuni chicchi raccolti di notte da spighe selvatiche cresciute dentro un cimitero e poi nascosti dentro il torace del morto. Ma capite bene che non è proprio comodo, fare una verifica del genere…

La legge non punisce chi uccide uno zombi per il semplice motivo che, appunto, è un cadàvar, è già morto. Per cui, io sono assolutamente libero di lavorare come mi pare; e con un pizzico di orgoglio posso dirvi di averne già eliminati un centinaio buono, da quando lavoro per C***.

Ormai li riconosco subito, anche se camminano con disinvoltura, o fingono di guardare le cose con interesse, o parlano con calma scegliendo con cura le parole. Li fiuto. E quando le circostanze lo permettono, agisco. Uso un po’ di tutto: armi da fuoco, picconi, accette, vanghe… L’importante è colpire la testa, e guastare il cervello: senza quello, non c’è più verso di far muovere il corpo. Oppure bisogna trovare il punto giusto, e far cadere a terra i semi del diavolo. Ma occorre avere molta fortuna, e si è costretti ad avvicinarsi un po’ troppo.

Le strolghe, poi, sono astute. Richiamano cadaveri da lontano: da Molinella, da Ostellato, addirittura da Lugo, per evitare che qualcuno di qui li riconosca. Ma, in tre anni, a me è capitato più volte di dover abbattere persone che conoscevo, amici – o parenti! – che sapevo morti, e che poi ho incontrato sulle terre di C*** intenti ad appiccare fuochi o a uccidere il bestiame… Questo è il solo lato che detesto, in tutta la faccenda: dover guardare negli occhi un uomo che un tempo aveva un nome, una casa, una famiglia; un uomo con cui magari ho lavorato, ho giocato a carte al bar… e aprirgli in due la testa morta. L’unica consolazione è che nessuno di loro se ne rende conto, nessuno mi riconosce.

Come ho già detto, lavoro qui da tre anni, e praticamente nessuno da queste parti conosce la verità. Tranne C***, naturalmente, e sua moglie, che è una strolga. Essendo stato richiamato da così tanto tempo, ormai tutti quanti mi credono vivo. L’importante è tenere sempre ben nascosta la cucitura sul petto.

[Prima pubblicazione: Mystero, giu. 2002]