Sri Lanka, isola dal cuore gentile

 

Lo chiamano “la lacrima dell’India”, ma lo Sri Lanka mi sorride a ogni passo.

È un’isola gentile, dall’animo riservato, come la sua gente; il suo biglietto da visita è l’accoglienza. L’umiltà, il rispetto e la bellezza di una terra che, dopo anni tormentati, ha ritrovato la sua pace.

 

La natura – dall’Oceano alle rocce metafisiche sospese sull’infinito – è incantevole e incontaminata.

Le suggestive Horton Plains, un altipiano ondulato oltre i duemila metri di altitudine, al centro dell’isola, si fermano davanti alla scarpata di World’s End: la fine del mondo.

 

Forse per questo lo Sri Lanka sa trasmettere una piacevole sensazione di aldilà, di paradiso terreno e segreto.

Yoga e medicina Ayurveda, alberi sacri, statue del Buddha e di Cristo in teche trasparenti che costellano le strade. La spiritualità respira nelle tante dimore divine – templi, monasteri, chiese, moschee – che fioriscono colorate una accanto all’altra. Nelle rotondità di un misterioso alfabeto.

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Lo Sri Lanka profuma di tè e di curry, di cibo semplice e speziato che ti sorprende sempre in nuove combinazioni.

L’anima di quest’isola è colorata, come la mia. E come le sue gemme, orgoglio di Ceylon e dei gioielli della Corona inglese. Non a caso i mercanti musulmani la chiamavano “Serendib”, “isola dei gioielli” in arabo– leggo sulla mia Lonely Planet -. Dalla parola “Serendib” deriva il termine “Serendipity”, l’arte di fare scoperte piacevoli e inaspettate.

E in questa definizione ritrovo e comprendo quel senso di meraviglia che – dopo aver attraversato tanti luoghi – continua a dilatare lo sguardo, e insieme il mio cuore.

 

Sulla spiaggia di Uppuveli (nel nord-est dell’isola), accanto a qualche turista incuriosito come me, ammiro il rito della pesca, uno spettacolo di altri tempi, la danza cadenzata dalle grida degli uomini di mare che per ore, in rigorosa fila, trascinano un’immensa rete.

Litania di gesti e voci al nascere e al morire del giorno.

Pescatori esili come giunchi ma forti della dignità di chi lavora per vivere, con i volti segnati dalla fatica e gli abiti logori, ma con straordinari sorrisi sdentati.

Intorno a loro bambini euforici e minuti saltano tra le onde, ti salutano e ti chiedono un bacio.

Poco più in là, i cani scodinzolano liberi e le mucche pigramente sfilano sulla battigia, mentre gazze nere virgolettano il cielo.

 

Su queste lande sabbiose e spesso deserte (Kalkudah è la mia preferita), mezzelune candide prese a morsi dall’Oceano, riesco finalmente a staccarmi da ogni pensiero.

E ascolto la voce dell’immenso.