SERA DI VIGILIA

I fiocchi di neve vagavano in disordine sopra il paese, insetti bianchi compresi nello sforzo di mantenersi in volo nonostante la debole tramontana si divertisse a trascinarli nella sua corsa inconcludente. Il sudario candido che andava ammantando ogni cosa emanava una luminescenza quasi magica, nel riflettere e diffondere il lucore dei lampioni e della luna.
Mancava circa un quarto d’ora a mezzanotte quando Berto raggiunse casa. II suo viso era paonazzo, graffiato dal vento che gli scagliava contro minuscoli cristalli gelati. Si sentiva veramente sfinito. Molto probabilmente quello sarebbe stato l’ultimo Natale, per lui…
Da quanti anni lo faceva? Non ricordava. Troppi, probabilmente. Si era sempre divertito un mondo a travestirsi da Babbo Natale, la sera del 24, e farsi un giro per portare giocattoli ai bambini del suo quartiere. In ogni rione bazzicava qualche pensionato praticamente identico a lui, e tra la modesta paga del Comune e le mance dei genitori lo sforzo tutto sommato era sempre ripagato. Quella sera aveva fatto visita a poco più di una dozzina di famiglie, elargendo pacchi e pacchettini da aprirsi tassativamente («Altrimenti il regalo sparisce!» declamava stentoreo davanti ai bambini estasiati) dopo la mezzanotte.
In una mano guantata stringeva il sacco ormai vuoto, e una volta chiusosi la porta di casa alle spalle lo scagliò ad afflosciarsi sul pavimento, ancora cosparso di carta da regalo, sacchetti di nylon, nastri colorati e rotoli di cellophane.
Non si diede neppure la pena di accendere la luce, visto che dalla finestra un fascio biancastro si intrufolava ad accasciarsi nel soggiorno. Era stata proprio una faticaccia, non se la ricordava tanto dura. Ogni anno era peggio. Colpa dell’età, sicuro. Meglio riposare, ora, finché gli rimaneva tempo. Presto sarebbero venuti a cercarlo. Meglio riposare…
La casa era assolutamente silenziosa, invasa da un odore tremendo.
«Maria?» chiamò, simulando il vocione baritonale di Babbo Natale. «Sono tornato!»
Si avvicinò lentamente alla porta del bagno, scostata quel tanto che bastava per permettere a una diafana propaggine luminosa di introdursi e raggelarsi sugli spruzzi e i rigagnoli rossastri che tingevano vasca e piastrelle.
«Sei ancora in bagno, Maria cara? O hai forse deciso di farmi il più bel regalo del mondo lasciandomi finalmente solo? Oh, grazie, davvero, non dovevi disturbarti così!»
Sorrise, con una punta di amarezza. Tornò quindi in soggiorno e lì si lasciò cadere sopra una sedia, davanti alla finestra, liberandosi con un gesto stanco di barba finta e berretto rosso, che ricaddero in un fruscio sinistro.
Lo spettacolo era magnifico. Quelle luci, quei fiocchi brillanti che seppellivano ogni cosa…
Rimase così, immobile, per una manciata di minuti, per un’eternità. Ad aspettare. Avrebbe volentieri fumato una sigaretta. Però non aveva voglia di mettersi a cercarne una, e neppure di sfilarsi i guanti, per dirla tutta.
Si ritrovò d’improvviso a ridacchiare, rauco, rivolto al proprio volto rugoso, stanchissimo, riflesso contro lo sfondo della notte, trovando tutto sommato irresistibile l’idea di sapere sua moglie sparsa per il paese. Avrebbe guastato il Natale a molta gente, lo capiva. E gli dispiaceva soprattutto per quei bambini, certo. Ma con il tempo avrebbero dimenticato. Si dimentica tutto, con il tempo…
Di lì a poco, dal campanile cominciarono a risuonare i dodici rintocchi.
[Racconto pubblicato per la prima volta, in versione estesa, sul periodico La Loza nel 1987]