PRIMA DEL BIG BANG

Il senso di vuoto assoluto e di tenebra inviolabile lo colpì come un pugno allo stomaco. Però seppe, all’istante, senza la minima incertezza, di aver raggiunto l’obiettivo, e il suo cuore si profuse in una salva di entusiastici fuochi d’artificio.
Dopo studi ed esperimenti che gli avevano consumato trent’anni di vita, il professor Aurelio Zanzi era finalmente riuscito a proiettarsi all’indietro nel tempo! Pur di riuscire nel suo intento, aveva sacrificato amicizie, affetti, amore, famiglia… Tutti elementi che lo avrebbero gratificato, questo sì, però… Troppo insostenibile ardeva in lui la sete di conquista e di conoscenza; fin da bambino, quando aveva costruito un marchingegno per schiacciare le nocciole alimentato dall’acqua dello sciacquone, si era rivelato un piccolo genio, e ora, all’età di soli quarantasette anni, poteva a buon diritto dirsi l’unico uomo al mondo ad aver sconfitto le barriere del tempo e dello spazio.
La sua WTM (Wonderful Time Machine, come l’aveva battezzata) assomigliava vagamente a una vecchia cabina telefonica. Il design, in effetti, lasciava un po’ a desiderare. Ma quello era un aspetto assolutamente irrilevante. Per il momento, non aveva alcuna intenzione di rendere pubblica la sua invenzione, né tantomeno di sfruttarla commercialmente. Per quanto rappresentasse un traguardo prodigioso per l’umanità, la WTM era stata concepita come mezzo, e non come fine. Potendo spostarsi fisicamente laddove altri scienziati erano giunti soltanto nei loro sogni più sfrenati, Aurelio desiderava sfruttare quella possibilità davvero unica per vedere di persona, per toccare con mano, per raccogliere prove, per avvalersi di conoscenze dirette e indiscutibili, sia nel campo delle scienze che della storia e dell’arte. Voleva incontrare la modella che aveva posato per Leonardo? Voleva osservare Galileo mentre costruiva il suo cannocchiale? Voleva contare con esattezza le pugnalate ricevute da Cesare? Ora, grazie alla sua WTM, avrebbe potuto togliersi queste e mille altre curiosità. A tempo debito, però. Perché fra tutti i suoi desideri ve n’era uno che ne sovrastava ogni altro, un incontenibile bisogno di acquisire una conoscenza alla quale tutto il resto era subordinato. Aurelio Zanzi voleva, più d’ogni altra cosa al mondo, sapere cosa c’era prima del Big Bang.
Sulla base di studi approfonditissimi e di dati che il suo computer aveva impiegato oltre una settimana a elaborare, quindi, il timer della WTM era stato impostato a 13 miliardi, 727 milioni, 612.418 anni, 145 giorni e 5 ore e un quarto a ritroso nel tempo. Con un certo margine di tolleranza, s’intende. Aveva poi indossato una tuta da astronauta, con tanto di bombole per la respirazione, dato che dov’era diretto difficilmente avrebbe trovato un ambiente favorevole alla vita umana. Un paio di preghiere, un ronzio, un lampo rossastro, e…
Eccolo arrivato!
Come aveva immaginato, attorno a lui c’era… il nulla. Si ritrovò a galleggiare in un vuoto primordiale, immerso nell’oscurità più totale. Il suo cuore trottava all’impazzata. Era… era incredibile, era inconcepibile! Stava fronteggiando il creato prima ancora della creazione stessa! Sentì il cervello vacillare, di fronte a una consapevolezza così immane, troppo spropositata per poter essere concepita, per poter essere afferrata in tutte le sue infinite implicazioni. Tentò dunque di rimanere ancorato alla propria razionalità e alla propria formazione incondizionatamente scientista, così da non cedere alle lusinghe di speculazioni filosofiche o – il cielo non volesse! – mistiche.
Prima ancora che potesse adagiarsi su una placida e disincantata contemplazione dello status raggiunto, però, dal nulla provenne qualcosa, e già ogni velleità di stabilire un equilibrio mentale cominciò a traballare. Aveva sentito bene, o si trattava di una distorsione acustica dovuta al casco e alla sua artificiosa respirazione? Quello che stava ascoltando, proveniente da quell’immota tenebra senza fondo, era un suono? Assolutamente impossibile: come potrebbero viaggiare, delle onde sonore, in assenza d’aria? No, no… Eppure…
Era una specie di fischio, di soffio acuto, continuo. Gli ricordò qualcosa, ma era troppo confuso per riuscire a far mente locale. Di sicuro quel sibilo non era prodotto da lui, o dalla sua tuta, o dalle bombole. Rimase un minuto buono ad ascoltarlo, fino a coglierne addirittura deboli modulazioni, minime variazioni di intensità. E proveniva da fuori, questo era certo. Comprese al volo di trovarsi di fronte a un’incognita dalle conseguenze sovrumane, a una scoperta che avrebbe potuto rovesciare i fondamenti di gran parte del sapere scientifico acquisito. Un qualcosa, nel nulla. Era un’idea che lasciava senza fiato.
Seguendo un impulso irresistibile – lo stesso che nel corso dei secoli aveva consentito a tanti uomini di scienza di fare le più straordinarie scoperte – azionò un meccanismo a filtro che gli permise di verificare, anche solo per pochi secondi, se per caso gli fosse possibile respirare. Con sua infinita sorpresa, i polmoni gli si colmarono di un’aria fresca e naturale, del tutto simile all’atmosfera che stava respirando pochi minuti prima (o meglio, miliardi di anni dopo). La portata di quella rivelazione era a dir poco smisurata! Stava ancora soppesando l’inattesa informazione quando tornò a prendere coscienza del sibilo che ora risuonava ben più distinto, grazie all’apertura del filtro per la respirazione esterna. E assieme all’udito, anche il suo olfatto venne prontamente sollecitato. C’era un odore curioso, stranamente familiare, soffuso ma evidente. Un’intuizione lo colse allora come una mazzata alla sommità del cranio. Se già era stato investito da ben due precise percezioni sensoriali, là dove era convinto (dove l’umanità era convinta) di trovare null’altro che il vuoto, non poteva essere che ci fosse anche qualcosa… da vedere? Al colmo dell’eccitazione, portò goffamente la mano guantata alla grossa torcia elettrica che teneva agganciata al retro della tuta, accanto alle bombole, e tremando vistosamente posò il pollice sopra l’interruttore. Era del tutto consapevole del fatto che, qualunque cosa avesse visto, la sua vita sarebbe radicalmente cambiata. Non poteva immaginare quanto.
Aurelio Zanzi riconobbe la natura dell’effluvio, e conseguentemente anche quella del sibilo, appena mezzo secondo prima di far scattare il contatto per l’accensione della torcia. Quello era, indubitabilmente, odore di gas metano, che stava uscendo a pressione da qualche conduttura…
Bastò una minima scintilla, e con un boato primordiale, divino, tanto smisurato quanto accidentale, il vuoto accolse festoso l’abbacinante nascita dell’universo.
(Racconto primo classifcato al concorso letterario S.Maurelio di Malborghetto, sezione speciale Due Patroni – inedito 2012)