Mogol insegna la libertà

«Sapete cosa mi ha salvato sempre? La libertà. Io sono libero. Non mi interessa piacere a nessuno».

Così Giulio Rapetti Mogol si racconta agli allievi del Cet (Centro Europeo Tuscolano), la scuola da lui fondata per valorizzare e qualificare nuovi professionisti della musica Pop: un centro di 120 ettari nel cuore dell’Italia.

Qui, nella quiete azzurra e tra le carezze verdi dell’Umbria, il Maestro continua a scrivere pagine indimenticabili della storia della musica italiana.

Si è concluso lo scorso febbraio il 42° corso intensivo Cet per autori, compositori e interpreti (8 ore al giorno per 3 settimane) che ha visto la partecipazione di docenti d’eccezione: oltre al poeta della musica italiana, c’erano Detto Mariano, uno dei più noti arrangiatori italiani; Giuseppe Barbera, compositore, arrangiatore e pianista di fama internazionale; il cantautore Giovanni Caccamo; Valeria Farinacci, giovane cantante ed ex allieva Cet che ha esordito a Sanremo; Alfredo “Cheope” Rapetti, Giuseppe Anastasi e Maurizio Bernacchia, docenti del Corso autori; Carla “Carlotta” Quadraccia e Laura Valente nel Corso interpreti e Massimo Bombino nel Corso compositori.

Il Cet è un’oasi di note che ospita allievi da ogni parte d’Italia, legati dal desiderio di esprimersi con la musica e le parole, di far sentire la propria voce.

Giulio Rapetti Mogol ci accoglie con cordialità e calore «nel luogo che ha scelto per vivere»: tutto qui parla di lui, dal maneggio dei cavalli al fuoco acceso nel camino.

Maestro, che cosa rappresenta per lei il Cet?

Il Cet è il regalo che faccio al mio Paese: il livello della cultura di una nazione dipende dalla cultura popolare. Ho cercato per un anno un luogo come questo, circondato da boschi e silenzio. È una scuola convenzionata con l’Università, che grazie ad una metodologia innovativa rappresenta un centro di eccellenza in Europa. Non è una scuola per diventare famosi, ma un centro per coltivare il proprio talento, per imparare a comunicare, per far capire l’importanza dell’autenticità.

Questo è il significato di «essere artisti»?

Chi riesce a essere autentico, anche davanti a un milione di persone, è credibile. Questa scuola insegna a diventare se stessi. Vivere pienamente vuol dire lasciare un segno positivo del proprio passaggio.

Mogol certamente sa lasciare il segno. Ma dopo tanti traguardi e riconoscimenti, è rimasto un sogno nel cassetto?

Non ho mai avuto sogni. Io combatto.

Ho evitato di sognare perché sono realista, a volte pessimista e non do mai niente per scontato.

Possiamo dire allora che ci sono «progetti» nel cassetto?

Questo luogo è anche una fucina di progetti, dalla medicina all’ambiente, fino all’ultimo, al quale mi sto dedicando da due anni, studiato per i migranti, un’emergenza umanitaria alla quale siamo chiamati a rispondere. È un progetto per migliorare le condizioni di queste persone, dare loro una casa, un lavoro, ma non qui: in paesi dove potrebbero vivere dignitosamente, in collaborazione con aziende agricole europee.

Per questo ci tengo a dire che il mio regalo all’Italia è il Cet, non sono state le canzoni.

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E parlando di canzoni, da dove arrivano le parole che scrive? Nel suo ultimo libro Il mio mestiere è vivere la vita, edito da Rizzoli, ha scritto che «bisogna fabbricarsi l’antenna per captare l’ispirazione». È vero che riceve «fax dal cielo»?

Ne sono certo. Scrivo con velocità e quando rileggo a volte sono sorpreso io stesso delle parole sul foglio. Mi è accaduto con L’arcobaleno: ho trascritto le parole dell’amico Lucio Battisti come sotto dettatura.

Qual è l’ultimo testo che ha scritto?

Ho scritto insieme a Gianni Bella un’opera a cui tengo moltissimo e che ha già ricevuto prestigiosi riconoscimenti: La capinera, tratta dal romanzo di Verga.

Come si scrive una canzone di successo?

Devi riprodurre la vita, quello che hai sentito, la tua rabbia, il tuo sconforto, quei momenti che provi e pensi che siano solo tuoi: invece sono passati di lì quasi tutti. Chi ascolta sente l’emozione, perché la canzone è un discorso diretto: la gente capisce se sei vero.

Ma prima ancora della verità raccomando la libertà.

Siate liberi. Di scrivere qualsiasi cosa.

(Intervista pubblicata su l’Ippogrifo n. 1, giugno 2017)