L’ALLUNAGGIO di Nicoletta Zucchini

L’ALLUNAGGIO

(quarto episodio)

da La crosta e la mollica

di Nicoletta Zucchini

«Pare…che vogliano mandare qualcuno sulla Luna…» le ultime parole pronunciate quasi di sfuggita da nonno Agostino ronzavano nella testa di Cesarino mentre pedalava di gran lena sulla strada di casa. Le parole del vecchio amico contadino gli si erano piantate nella mente e come semi gettati su un terreno fertile germogliavano, germogliavano…

Durante la cena, mentre discuteva animatamente con i genitori, non si sa come, la discussione finì su Cape Canaveral e sui preparativi che stavano facendo là in America per andare sulla Luna. Spesso al telegiornale dagli Stati Uniti, Ruggero Orlando teneva i suoi infervorati collegamenti: si era nel 1969. Cesarino guardò Carosello poi insolitamente docile se ne andò a letto.

Dopo un primo sonno ristoratore si svegliò di colpo e ad occhi spalancati nel buio incominciò a ripensare prima alle parole di nonno Agostino, poi a quelle del giornalista Ruggero Orlando. Cercando di riaddormentarsi, più volte si girò nel letto, prima su un fianco poi sull’altro, a fatica riuscì a riprendere sonno, mai riposo notturno fu più inquieto e tormentato da ripetute missioni lunari. La mattina dopo sembrava che il letto fosse stato investito da un ciclone tropicale. In bagno davanti allo specchio sgranò gli occhi: i capelli erano una massa ingarbugliata e ribelle. Con molto coraggio, dopo numerosi colpi di spazzola e parecchi nodi giunti al pettine, ebbe la meglio sulla capigliatura ribelle.

Nel primo pomeriggio, come al solito, con uno specchietto mandò ripetuti segnali in codice ai suoi amici, fortunatamente tutti quanti abitavano nel centro del paese nelle vicinanze di una vecchia villa abbandonata immersa nel verde; alle quindici spaccate ne scavalcarono il muro di cinta ed andarono a sedersi sul bordo della vasca della fontana secca. Da quel momento fra loro iniziarono delle discussioni furibonde perché volevano organizzare un’avventura memorabile. I giorni di vacanza trascorrevano veloci, la banda si riuniva regolarmente tutti i giorni nello stesso luogo e alla stessa ora. Avevano fatto un solo progresso, avevano chiamato il progetto “Apollo 11”, proprio come la missione spaziale americana. Un giorno finalmente, dopo l’ennesimo battibecco, Cesarino partorì l’idea: «È geniale!» esclamarono in coro gli amici.

Il piano d’azione incominciò con il tener d’occhio il campanaro, fino a vincerne la diffidenza ed a diventarne amici. A volte salivano con circospezione sul campanile fin sulla cella campanaria e da lassù guardavano lontano: com’era grande, com’era bella la pianura, com’erano piccole le case, le persone assomigliavano a formiche e le automobili erano come i modellini che tenevano nelle loro camerette. All’improvviso uno di loro disse: «Mi sembra di essere un uccello, vorrei spiccare il volo come se fossi un colombo!»

Luglio passò in un baleno… 17, 18, 19…il grande giorno era arrivato finalmente. La telecronaca ebbe inizio. Il 20 luglio 1969 era una tipica giornata estiva calda soleggiata e ora stava per entrare nella storia dell’umanità intera. Nel tardo pomeriggio la temperatura ed il tasso di umidità erano ancora elevati, ma nessuno ci faceva caso. Le strade e le piazze con le ombre che si allungavano velocemente, erano deserte. Tutti, sia in casa, sia al bar, erano in attesa del grande evento, con i generi di conforto più graditi a portata di mano. Accomodati alla meglio, tutti quanti se ne stavano in attonita adorazione davanti ad un televisore acceso. Solo Tito Stagno, bionda capigliatura e spessi occhiali inconfondibili, dai teleschermi sudava, vuoi per le luci, vuoi per l’emozione, vuoi per l’attesa del collegamento con gli U.S.A., vuoi per l’ansia che tutto filasse liscio sia negli studi televisivi, sia lassù in orbita, dove tutto doveva filare liscio per forza. Finalmente la telecronaca ebbe inizio dalla sede RAI di via Teulada (Roma), negli ambienti ingombri di fili, di cavi, di “giraffe”, di telecamere possenti, di maestranze gesticolanti, di ospiti illustri come scienziati, giornalisti e scrittori, tutti accalorati. C’era in collegamento via satellite Ruggero Orlando, il mitico giornalista di cui Cesarino non riusciva a distinguere il nome dal cognome, sapeva solo che erano identici a quelli dei cavalieri di Carlo Magno, i paladini dell’imperatore, e lo colpiva del telecronista d’oltreoceano anche la voce un po’ gracchiante proprio da teatro dei Pupi Siciliani. Quante volte si era fermato ad ascoltare incuriosito quella voce inconfondibile che via etere giungeva dall’America. Ruggero Orlando nei telegiornali precedenti la missione Apollo 11, gesticolando con foga, aveva spiegato con fervore agli italiani tutte le operazioni che si erano svolte nella base spaziale di Cape Canaveral. Cesarino ed i suoi amici erano rimasti impressionati dal countdown del 16 luglio. Il conto alla rovescia, avvenuto alle 9 e 32 ora locale, aveva dato il via all’accensione dei motori del razzo propulsore Saturn. L’ accensione fu seguita da un fuoco immane, dovuto alla combustione di una quantità spropositata di propellente, necessaria a spingere la nave spaziale Apollo a vincere la forza di gravità terrestre, fino a raggiungere lo spazio interplanetario seguendo una precisa traiettoria ellittica. Una volta entrato nel campo di gravità lunare, l’Apollo avrebbe dovuto rallentare e tenere un‘orbita stazionaria per consentire alle due sezioni di cui era composto di separarsi: da una parte la nave, cioè la sezione detta Columbia, dall’altra il modulo lunare vero e proprio, chiamato Eagle, che sarebbe allunato nel Mare della Tranquillità.

Molti la sera del 20 luglio, a furia di sentir parlare di cose così lontane dal loro misero quotidiano, incominciarono ad intuire, a comporre un abbozzo di idee quasi scientifiche. Tanti compresero solo allora la legge fisica per la quale il peso dei corpi, quindi anche del proprio peso, stava in relazione con la gravità della Terra. E proprio in quelle ore eroiche, si convinsero che la Terra era davvero rotonda e capirono finalmente che nessun abitante dell’Australia, della Nuova Zelanda, della Patagonia ed anche del Sudafrica sarebbe mai scivolato giù dal pianeta. Alcuni addirittura furono abbagliati dall’idea che non ci fossero un su ed un giù definitivi, ma che ogni posizione nello spazio fosse relativa ad un’altra. Un punto da solo non è nulla, non ha una posizione, non si può definire. Solo più punti possono determinare una posizione: la posizione è la relazione che esiste fra loro.

Non è forse così anche per le persone? Solo se ci mettiamo in relazione gli uni con gli altri sappiamo chi siamo. Pensieri che ti pigliano a tradimento, filosofia quotidiana che troppo spesso dimentichiamo, al primo volo di zanzara ci diamo uno schiaffetto e scordiamo all’istante il bel sogno che stavamo vivendo ad occhi aperti. Le zanzare si sa sono più forti della scienza e della filosofia!

A tre giorni dal decollo verso lo spazio lunare, la sera del 20 luglio ebbe luogo la telecronaca epocale e alle 19 e 50, ora italiana, avvenne la separazione dei due moduli. Una volta avvenuto l’allunaggio dell’Eagle, da esso scese Neil Armstrong, il primo uomo a mettere piede sulla Luna.

«Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l’umanità»: le parole dell’astronauta giunsero dirette al cuore dell’umanità intera. Tutti nell’attesa dell’evento stavano in fibrillazione.

Intanto, silenziosi, Cesarino ed i suoi amici si erano messi all’opera. Senza essere visti dai familiari erano riusciti a recarsi nel punto di ritrovo convenuto, lì recuperarono l’attrezzatura necessaria, preparata in precedenza: candele, torce, una radiolina transistor. Solo all’ultimo minuto Cesarino era riuscito a sgraffignare dall’auto del papà il cannocchiale da cui non si separava mai, infatti lo usava sul lavoro, ma non solo. Quella notte il ragazzo lo avrebbe usato per guardare lontano, davvero lontano! Quando giunse sul posto, tutta la combriccola aveva il cuore in gola, profondo sospiro generale, poi con grande cautela salirono furtivi sul campanile.

Loro non si accontentavano di una telecronaca in bianco e nero, non si accontentavano di essere dei semplici telespettatori. Loro volevano seguire i fatti più da vicino, quasi dal vero, per questo erano saliti più in alto possibile e con l’aiuto del cannocchiale del papà di Cesarino avrebbero cercato di vedere, se non l’allunaggio, almeno l’orbita di avvicinamento dell’Apollo 11.

Non erano mica degli ingenui loro!

Cesarino sfoderò lo strumento: «State attenti a non far cadere la custodia!» si preoccupò, poi cercò di metterlo a fuoco puntandolo verso il satellite terrestre. La visibilità era buona, la notte fresca e limpida. «Fatemi vedere un po’ anche a me!» lo supplicò l’amico Mauz.

«Se hai un po’ di pazienza te lo passo. Fate attenzione voi, che glielo passo!» Mauz ansioso se lo avvicinò all’occhio sinistro, chiudendo quello destro. «Ma la Luna scappa! Si muove!» Non sapeva il ragazzo di avere avuto la stessa reazione di Galileo Galilei, quando per primo nel suo studio, dalla Specola aveva osservato la Luna con il cannocchiale da lui stesso progettato.

«Ma dai non è possibile! Io la sto fissando ad occhi ben aperti e sta ferma!» giurò Dando, un altro amico di Cesarino.

«Fatemi guardare a me che io ci vedo benissimo. Voi portate gli occhiali!» fece spavaldo Blando, un altro della banda.

«Non è che l’hai rotto mentre lo prendevi a tuo padre?» chiese dubbioso Niz all’amico.

Allora Cesarino con autorità si riprese il cannocchiale e incominciò di nuovo a puntarlo verso l’alto. Stava manovrando per trovare il giusto fuoco, quando la mira gli finì in direzione della piazza. Prima una, poi due, tre, quattro, cinque auto dei carabinieri stavano arrivando a sirene spiegate. «Ma vanno a casa nostra!» esclamò sorpreso. «Chi sta andando a casa nostra?» chiesero in coro i quattro. «Icaramba sono a casa nostra…credo che qualcuno si sia accorto della nostra assenza.» panico nella combriccola «Calma! Non perdiamo la calma!» Cesarino si grattò la testa, poi un fianco: «Ho trovato! Se facciamo come dico io, non ci succederà nulla».

 

Per alcuni giorni la stampa locale ed anche quella nazionale si occupò della scomparsa e della ricomparsa misteriosa dei cinque nella notte dell’allunaggio. Molti in paese incominciarono a sentirsi orgogliosi di quei piccoli eroi ed anche un po’ scavezzacolli. Cesarino e la sua banda mantenevano il segreto, godendo dei piccoli vantaggi di quella breve notorietà. Solo il vecchio nonno Agostino ebbe il privilegio di conoscere la verità sulla bravata, verità che si portò nella tomba molti, molti anni dopo.

Nel paese intanto le voci continuavano a correre: al forno ed in bottega le massaie chiacchieravano ed uscivano con sporte piene di pettegolezzi. Non da meno gli uomini al bar mormoravano che quei ragazzi erano stati rilasciati, non si sa da chi, ma con macchie verdi sulla pancia.