LA LUNGA STRADA VERSO IL MARE (parte 1 di 2)

Renzo schiacciò il pedale del freno non appena l’auto che lo precedeva pretese la sua attenzione accendendo le luci rosse degli stop.

«Ma che diavolo…» bofonchiò, rendendosi conto che davanti a lui il traffico aveva subito un improvviso, sgraditissimo rallentamento. Lanciò d’istinto un’occhiata apprensiva allo specchietto retrovisore, verificando con sollievo che anche la Punto bianca dietro di lui stava facendo altrettanto.

Fino a quel momento il flusso dei veicoli lungo la Ferrara-Mare si era dimostrato discretamente sciolto, consentendogli di mantenersi sugli ottanta-ottantacinque all’ora. Del resto, inserendosi in superstrada verso le 16.00, si era aspettato di non trovare particolari problemi di scorrevolezza, per un venerdì pomeriggio. Adesso, però, quando ormai aveva dato per certo l’orario che aveva stimato per arrivare… ecco l’imprevisto.

Attraverso i parabrezza dell’auto che aveva davanti – una Y10 blu cobalto il cui conducente, come lui, era un viaggiatore solitario – riuscì a scorgere un’altra coppia di stop ammiccare; e spostando il collo per cambiare di poco la prospettiva colse la lunga coda di veicoli che si snodava fino a perdersi, oltre un’ampia semicurva, dietro l’ombra sfocata di una macchia d’alberi che rendeva impossibile riuscire a valutare la lunghezza. Il serpentone d’acciaio, plastica e cristallo rallentò progressivamente la propria andatura, e nel giro di pochi secondi Renzo si ritrovò a scalare la marcia dalla quinta alla seconda. «Ma porca…» sibilò, triturando fra i denti una mezza imprecazione.

Il sole di fine luglio era una palla bianca sospesa sul mondo, e verso le cinque del pomeriggio (le 16:47, per l’esattezza, stando alle cifre arancioni sul cruscotto) stava dando ampia dimostrazione del suo potenziale estivo, com’era lecito aspettarsi. La C2 di Renzo vantava comunque un discreto impianto per l’aria condizionata; e anche se per varie ragioni – che oscillavano dal consumo di carburante alle ripercussioni sulle sue ossa – lui aveva sempre preferito non abusarne, in un frangente simile quell’asciutta frescura poteva essere considerata una piccola benedizione.

Quando la coda si arrestò del tutto, Renzo mise l’auto in folle, mantenendo il piede destro posato sul freno, e si guardò attorno con aria sconsolata. Dove si trovava, esattamente? Quando viaggiava lungo tragitti tanto familiari era solito lasciare che la mente si dissociasse in buona misura dai dettagli contingenti per abbandonarsi alle più svariate fantasticherie, oppure per farsi coinvolgere dalle canzoni alla radio. In quel momento, dalle casse stereo Ivan Graziani era impegnato ad accusare qualcuno di pigrizia.

Aveva già oltrepassato lo svincolo per Comacchio? Non ci aveva fatto caso. Comunque, non doveva mancare poi molto all’uscita per il Lido di Spina, dove lo attendevano moglie e figlia. Ragioni di lavoro, e quindi di ferie sfalsate, lo costringevano a raggiungerle solo durante i weekend. Lo aspettavano per le cinque, ovviamente con un ragionevole margine entro il quale avrebbe potuto ritardare senza metterle in allarme.

Per un attimo valutò l’opportunità di spostarsi nella corsia di sorpasso. Ma in breve si rese conto che anche quella si stava intasando di vetture, le quali – per quanto ancora procedessero a una velocità accettabile – già davano segni di resa, e il loro progressivo rallentamento si andava facendo evidente.

Sulla Punto che lo seguiva, una coppia di anziani stava discutendo; la testa calva di lui annuiva con veemenza, mentre la chioma candida di lei oscillava al ritmo di qualche tediosa rimostranza.

La Y10 che lo precedeva spense gli stop, e si mosse a passo d’uomo. Renzo inserì la prima e fece altrettanto, nutrendo la pia illusione che la ripartenza fosse definitiva. Dopo una decina di metri, però, gli occhietti rossi dei fanalini davanti a lui troncarono quel suo illusorio rigurgito di ottimismo. Ma cosa poteva essere successo? Un incidente? Era augurabile di no, anche perché l’assenza di una corsia d’emergenza avrebbe reso davvero difficoltoso un celere intervento da parte di ambulanze o veicoli delle forze dell’ordine. Non si intravedevano lampeggianti, in alcuna direzione. Vero, avrebbero potuto essere molto più avanti, oltre quel limite al di là del quale la lunga fila di auto scompariva alla vista. Un’altra possibile causa poteva essere il classico imbottigliamento là dove la superstrada si spalancava in un bivio, incanalando il traffico verso Venezia da una parte e verso i Lidi Sud dall’altra. Quanto ancora gli sarebbe voluto, per arrivarci?

Guardò sconsolato il flusso regolare e spedito dei veicoli che marciavano in direzione opposta, lungo la carreggiata al di là della grigia, severa barriera New Jersey. Una sottilissima spina d’invidia lo punse alla nuca; ma si trattava di un’invidia del tutto sterile, dal momento che lui non aveva certo intenzione di tornare indietro.

Ancora una manciata di metri in avanti, e di nuovo in folle.

Si volse a destra, lasciando che lo sguardo si rilassasse sulle distese di campi semisommersi. Sul pelo dell’acqua baluginavano a tratti barbagli quasi accecanti, e ciuffi di piante ne emergevano regolari come tante braccia scure tese inutilmente verso il cielo. Uno stormo di uccelli si staccò, improvviso e compatto, da un arbusto in lontananza, perdendosi nel biancore brillante che stagnava su quel mare di campi.

Un crepitio di elettricità statica dalle casse della radio lo richiamò dal pericoloso sopore che rischiava di farlo rimproverare da un colpo di clacson. Si mosse di una decina di metri ancora, sentendosi la gola riarsa. C’era qualcosa da bere? Macché, non era mai stato un tipo previdente. Ora Graziani aveva lasciato il palco radiofonico a qualche band inglese o americana che Renzo non riconobbe. Musichetta orecchiabile, anche se un blando disturbo di sottofondo se ne mangiava qualche nota, di tanto in tanto.

Voltandosi verso sinistra si ritrovò a osservare una famiglia a bordo di un SUV nero metallizzato. Il marito al volante e la moglie al suo fianco fissavano concentrati la strada davanti a loro, procedendo a un’andatura tale per cui avrebbero impiegato una ventina di secondi per superarlo. Sul sedile posteriore era seduto un bimbetto moro sui cinque, sei anni, assicurato a un seggiolino di sicurezza. Renzo notò che lo stava fissando, con un visetto serio. Allora gli sorrise, d’istinto; ma quello non si scompose, e dopo poco distolse lo sguardo come se neppure lo avesse notato.

Avanti, un altro po’. E poi stop. Spostò oziosamente gli occhi sull’orologio, e scoprendo che si erano già fatte le 17:22 sentì un tuffo al cuore. Possibile che fosse trascorsa più di mezz’ora, da quando la sua corsa aveva incontrato quell’odiosa battuta d’arresto? Doveva essersi perso nei suoi pensieri, come al solito. Anche se non gli pareva…

[continua]