“CHIAMATA NON RISPOSTA”

Antonio si era sentito piuttosto di buon umore, al risveglio. Aveva pure fischiettato, in bagno, interrompendosi per prudenza ogni volta che il rasoio raschiava via barba e schiuma dalle sue guance. I fumi dell’alcool erano appena un pallidissimo ricordo.

Ma quello stato di leggera euforia si era dissolto come neve al sole nel momento in cui era tornato in camera per vestirsi e aveva trovato sul display del cellulare il messaggio di ‘chiamata non risposta’. Il telefono era rimasto ad attenderlo, fedele, sul comodino, ed evidentemente gli squilli non lo avevano raggiunto al di sopra dello scrosciare dell’acqua dal rubinetto e del suo brioso fischiettare. A quell’ora, suppose, non potevano essere che grane.

Con dita ancora leggermente umide e odorose di dopobarba, Antonio pigiò alcuni tasti per scoprire chi lo avesse cercato. E quando le letterine nere sul luminescente fondo verdastro composero il nome ALDA, il cuore parve farsi per alcuni secondi troppo grosso per la sua cassa toracica. Dovette sedersi sul bordo del letto e attendere che il suo corpo e il mondo riacquistassero l’ordinario equilibrio.

Alda lo aveva cercato…

Guardò d’istinto l’orologio, più che altro per distrarre la propria mente da quel pensiero insopportabile. Doveva sbrigarsi, o avrebbe fatto tardi in ufficio. Tutto doveva filare come sempre. Nessuno doveva notare in lui alcunché di diverso dal solito. Doveva essersi trattato di qualche interferenza, di qualche maledetto disguido tecnico. Ci capiva poco, ma non poteva trovare spiegazione più rassicurante.

Archiviò quindi con decisione l’episodio in un angoletto del cervello, quell’angoletto riservato alle cose sgradevoli che – non potendo essere cestinate ed eliminate dalla memoria come i files indesiderati in un computer – giacciono a languire e ad atrofizzarsi. A meno che, per curiosità o per autolesionismo, non le si vada a pungolare.

Fu irrequieto per tutto il giorno. In ufficio si sforzò di apparire gioviale con i colleghi, e forse ci riuscì, nonostante quel serpeggiante bruciore che gli dava sporadici crampi allo stomaco. Il suo organismo cominciava a somatizzare. Gli avvenimenti del giorno prima stavano macinando, da qualche parte, dentro il suo sistema nervoso. Lavorò male e malvolentieri (trascriveva montagne di dati e documenti in un ufficio postale, per otto ore al giorno), e quando rincasò si trovò a riflettere su quanto saldo avrebbe saputo mantenersi, quando la cosa fosse venuta a galla. Perchè a galla sarebbe venuta, questo era certo.

Prima di lanciare la giacca sull’appendiabiti sfilò il cellulare dal taschino, e con occhio fintamente distratto sorvolò il display…

Un’altra ‘chiamata non risposta’.

Possibile che non l’avesse sentita? Certo, possibilissimo. Aveva dimenticato, come gli accadeva spesso, di inserire la vibrazione al posto della suoneria, e udire quei deboli trilli mentre si viaggia in autobus era un’impresa che a lui non era mai riuscita. Comunque, controllò da chi provenisse quella seconda chiamata inevasa della giornata, anche se una parte di sé già glielo stava sussurrando all’orecchio.

Ancora ALDA.

Spense con grande calma il cellulare, lo posò sul comodino. Poi si lasciò cadere supino sul letto, e si morse una mano facendo scricchiolare le nocche. Non doveva urlare.

Non poteva più trattarsi di un disguido telefonico. Qualcuno lo stava tormentando di proposito!

La bottiglia di gin era ancora lì accanto, piena per metà, ad aspettarlo.

Non si era certo preoccupato del cellulare di Alda, quando la sera prima l’aveva uccisa, caricata nel baule dell’auto, trasportata nelle campagne alla periferia della città e sepolta. Il motivo per cui aveva fatto una cosa simile? Be’, non ce n’era uno in particolare… Sono tante le circostanze che possono indurre un uomo a decidere di liberarsi della propria moglie. Era stanco, essenzialmente: delle sue manie, delle sue lagne, del suo carattere… Ma ora non gli andava di perdersi e arrovellarsi attorno a quella storia. Ci aveva già pensato fin troppo, durante gli ultimi mesi. Adesso basta.

Sollevandosi su un gomito, afferrò la bottiglia sul comodino e concesse a due gloriose sorsate di fuoco di distoglierlo da quel senso di smarrimento che lo stava consumando.

Quella sera mangiò pochissimo: una scatoletta di tonno e qualche fetta di mortadella. In compenso bevve, e non solo acqua. C’era qualcosa che non funzionava, in tutta la faccenda. Aveva ricevuto due chiamate dalla moglie morta

Il cellulare doveva esserle rimasto addosso (di solito lo teneva appeso alla cintura dei jeans), e questo cosa provava? Che qualcuno aveva trovato il cadavere, e ora si divertiva a giocare come il gatto col topo? Qualcuno che lo avrebbe denunciato? O forse ricattato?… C’era un’altra spiegazione, in fondo. Ma non si trattava di una vera spiegazione. Alda poteva…

No, questo era escluso, nella maniera più assoluta. Prima di cominciare a ricoprirla di terra l’aveva colpita profondamente alla gola con la vanga. Per maggior sicurezza.

Ebbe appena la forza per spegnere la luce. Quindi stramazzò sul materasso e precipitò in un abisso di incoscienza, stremato e ubriaco come non lo era stato da anni.

 

Era notte fonda quando un suono lo strappò dal vischioso viluppo del sonno.

Aprì a fatica gli occhi, tentando di comprendere prima di tutto dove si trovasse. Una volta appurato, confusamente, di trovarsi nella propria camera, sul proprio letto, Antonio si concentrò sul suono – acuto, insistente – che lo aveva svegliato. Girando il capo in direzione del comodino venne colpito dall’agglomerato luccicante, verdognolo, che pareva rappresentare la fonte di quel fastidioso richiamo. Era il suo cellulare. Qualcuno lo stava chiamando. Quei trilli, a tre a tre, lo fecero pensare al pigolio di uccellini affamati e disperati dentro un nido.

Allungò un braccio, ma prima di riuscire ad afferrare il telefono fece cadere con un tonfo sordo una bottiglia vuota sulla moquette. Avvicinò il display luminoso agli occhi, che gli bruciavano come se fossero pieni di sabbia, e lesse: ALDA. In quel preciso istante la suoneria si zittì, e la scritta ‘chiamata non risposta” si sostituì beffarda al nome della moglie morta.

Una serie di boati prese a imporsi dentro la sua testa. Era solo il sangue, che fluiva concitato nelle vene e gli scalciava nelle tempie al ritmo dei battiti del cuore. Il letto si fece instabile, quasi si trovasse a galleggiare nelle prossimità di un gorgo, ruotando a spirali sempre più strette, sempre più serrate. Antonio singhiozzò, e tentò di orientarsi nell’oscurità totale che lo tratteneva nel suo grembo. Puntini scintillanti cominciarono ad agitarsi ai margini del suo campo visivo.

Riuscì ad avere coscienza del fatto che il display del cellulare fosse rimasto acceso per alcuni secondi, in attesa di una sua decisione, solo nel momento in cui si spense, e la tenebra si fece ancor più fonda.

Comprese all’istante che non avrebbe potuto fare altro, a quel punto, che affrontare tutto ciò che vi era da affrontare. Non credeva, non aveva mai creduto, ai fantasmi, o ai morti che tornano dalla tomba per vendicarsi! Ma di qualunque natura fosse l’incubo che stava inesorabilmente sgretolando la sua stabilità, era folle ostinarsi a ignorarlo.

Premette un tasto a caso, tanto per riaccendere il piccolo quadrante. Fu come trovarsi a fissare l’occhio malevolo di un mostro appena destato, un mostro impaziente di divorarlo. Quindi, con movimenti maldestri, tornò a visualizzare il nome del mittente (una donna uccisa, stesa sotto più di un metro di terra!), e alla domanda ‘Chiamare?’ rispose pigiando il tasto OK.

Da qualche parte – pensò, col cervello devastato dal terrore – da qualche parte, ovunque si trovi, il telefono di Alda suonerà…

Come suoneria, la moglie aveva scelto ‘Il lago dei cigni’. Una melodia malinconica, lacrimosa. E nel momento preciso in cui Antonio udì le struggenti note affiorare, cristalline, da sotto il suo letto, cedette al mostro dell’ombra e della follia, che gli tranciò con un morso il cuore.

 

Antonio fu trovato in tarda mattinata, su segnalazione dei colleghi che non lo avevano visto arrivare sul posto di lavoro. Era morto da alcune ore, riverso fra coltri scomposte, il cellulare stretto spasmodicamente nella mano. Il medico riconobbe subito i segni dell’infarto.

Venne naturalmente rinvenuto, qualche giorno dopo, anche il cadavere della moglie, poco fuori città. Alda… il cui telefonino era semplicemente rotolato sotto il letto la sera della colluttazione e dell’uccisione, secondo l’attendibile ricostruzione del delitto. Tutto apparve limpido. O quasi.

Due punti, almeno, lasciarono interdetti gli inquirenti. Primo: dal cellulare di Alda erano partite tre chiamate per Antonio, la prima delle quali era già successiva alla presunta ora della morte. E poi, c’era quell’incredibile, orrendo sogghigno di soddisfazione stampato sul volto livido del cadavere dissotterrato…

[Prima pubblicazione: Mystero, gen. 2004]