CESARINO E LA TEGOLA DEL SOSPETTO di Nicoletta Zucchini

CESARINO E LA TEGOLA DEL SOSPETTO

(secondo episodio)

da La crosta e la mollica

di Nicoletta Zucchini

Quando Cesarino venne ad abitare nella nuova casa, aveva circa dieci anni, ma ne dimostrava meno, era magrolino, di muscolatura nervosa, con gli occhi e le mani sempre in movimento, sorrideva spesso con un sorriso asimmetrico, il naso dritto e regolare esaltava la fronte ampia, spesso seminascosta da cascate di ciocche ribelli. I capelli avevano sfumature accese e cangianti, in perfetta simmetria con il suo carattere. Amava andare in bicicletta su ogni tipo di strada, arrampicarsi da qualsiasi parte, correre in ogni via e cortile, non c’è da meravigliarsi se, con le calze sempre giù e i calzoncini corti, le ginocchia erano costantemente sbucciate e a volte gli fiorivano certe croste!

Era un vero scavezzacollo, un professionista della marachella e, inutile dirlo, fonte quotidiana di preoccupazioni per i genitori: tutte le occasioni erano buone per mettersi nei guai!

Ma quella volta fu un’altra della famiglia a finire nei guai.

La mamma di Cesarino, la professoressa Liliana Fasoli in Borghi, insegnava Paleontologia all’Università.

«È qualcosa che ha a che fare con esseri viventi, ma che non ci sono più da tanto tempo», spiegava Cesarino agli amici mentre, di tanto in tanto, sotterrava per gioco in giardino ossi di pollo e di coniglio e immaginava e fantasticava di lontane ere glaciali e di futuri ritrovamenti. La signora Liliana era una bella donna, alta, slanciata, occhi color acqua marina, capelli castano chiaro, abbastanza lunghi da essere raccolti in uno chignon sulla nuca, orecchie dalle volute armoniose, vestiva in modo elegante, ma informale (a quei tempi una semplice gonna, un maglione e un soprabito trench, tali erano considerati), portava una borsa, detta “a postino” per la foggia della chiusura e per la tracolla, cui annodava colorati foulard di seta pura, tenuamente profumati di fresia o di lillà. Aveva un’andatura, un cipiglio, un modo di fare e di parlare con voce piana e chiara, che emanavano sicurezza, ma priva di arroganza, tale da mettere a proprio agio chiunque l’ascoltasse.

Una sera di novembre, umida e nebbiosa, Liliana aveva fatto tardi in facoltà e all’ultimo momento aveva anche dovuto firmare una consegna importante per il collega di antropologia, assente per un convegno scientifico. Ora finalmente viaggiava spedita sulla sua Mini Minor e fuori dalle Mura aveva incominciato a premere un po’ sull’acceleratore: si trovava in periferia, quando dovette frenare di botto, all’improvviso aveva scorto la paletta rossa dell’alt, impugnata da una mano guantata di bianco. Accostò con cura a destra, tirò giù il vetro del finestrino, sul quale si affacciò con volto serio e compunto un giovane poliziotto: «Prego, favorisca libretto e patente!»

La donna si piegò verso il cruscotto per prendere l’uno poi rovistò nella borsa per l’altra, infine li porse con un vago sorriso al giovane in divisa, che intanto osservava scrupolosamente l’interno dell’abitacolo. Si allontanò con i documenti per controllarli meglio, poi iniziò a confabulare con il collega, che si mise alla radio con la centrale. La signora Liliana, rimessa a posto la borsetta, si girò istintivamente per controllare se tutto fosse in ordine sul sedile posteriore, poi si rigirò verso i poliziotti e sulla fronte le comparve una ruga di sospetto. Non fece in tempo a formulare il minimo dubbio, che in men che non si dica, si ritrovò in questura, davanti al commissario Mezzatesta. Ce ne vollero delle belle e delle buone per convincere il commissario delle sue generalità, della sua professione e soprattutto della ragione di quelle ossa, sparpagliatesi sul sedile posteriore dell’auto dopo la brusca frenata.

«Non ho ucciso nessuno, non sono ossa umane!» rispondeva dimenandosi vistosamente sulla seggiola.

«Non ho ucciso nessuno!» ripeteva con insistenza «Insomma…sono umane, ma non sono di uomini!»

«Che vuol dire signora, che sono ossa di donna?» chiese il commissario Mezzatesta credendosi intelligente.

«Sono reperti scientifici quelli che stavo trasportando…ma no, non stavo trafugando nessun reperto! Avevo ricevuto una consegna al posto del mio collega, era tardi, avevo aperto il pacco per vedere se il materiale fosse integro e corrispondente a quello ordinato dal Consiglio di facoltà».

La professoressa Fasoli fu rilasciata solo dopo gli accertamenti del caso, cioè di un anatomo – patologo, che certificò la natura sintetica dei due crani e del terzo osso, un malleolo sinistro. Quelle ossa che sembravano la prova certa di un duplice omicidio, tale era il sospetto caduto come una tegola sul capo della sventurata professoressa, altro non erano che modellini costosissimi, prodotti a scopo didattico da un laboratorio svizzero specializzato. D’altra parte come avrebbe potuto la povera professoressa, uccidere un Neanderthal o un Cro-magnon estinti da migliaia di anni?

La mattina dopo, quando Cesarino vide sua madre, con il muso lungo, scendere lentamente le scale, le corse incontro: «Ciao mamma! Come va?» Poi, senza attendere risposta aggiunse: «Lo sai, nessuno meglio di te sa guardare lontano, lo dice anche il papà che sei un’ottima paleontologa! Ma qualche volta, per favore, guarda anche un po’ più vicino!»Cesarino - Mini

«Hai proprio ragione Cesarino!» disse stringendolo fortissimo e soffocandolo di baci, finalmente si sentiva rimessa al mondo: era ritornata la Liliana di sempre.

(Nicoletta Zucchini, La crosta e la mollica ovvero Le avventure di Cesarino, Nuove Carte, 2013)