William Carlos Williams: il poeta della gentilezza

Cominciamo dalla fine. Una biografia può benissimo cominciare dalla fine o quasi.

Nel 1955 a Octavio Paz fu inviata una traduzione in inglese di Inno tra le rovine, una poesia che il premio Nobel messicano aveva pubblicato alla fine degli anni 30. La traduzione era di William Carlos Williams e Octavio Paz, trovandola splendida, si ripromise di incontrare il poeta americano in occasione di uno dei suoi viaggi a New York.

Così nell’inverno del 1956 Paz si recò a Rutherford nella casa di Williams dove il poeta americano aveva sempre vissuto. La casa era quella di un dottore ovviamente più che di uno scrittore, ma Paz incontrò prima di tutto un uomo posseduto dalla poesia e non dal ruolo di poeta.

A quel tempo Williams era già semiparalizzato per via dell’ictus che lo aveva colpito 15 anni prima ma non aveva perso, secondo il ricordo del poeta messicano, il suo senso dell’umorismo, la disinibizione, il rifiuto a prendersi sul serio e, soprattutto, non aveva perso la sua gentilezza.

E un altro medico gentile, il Prof. Stefano Caracciolo, nel corso dell’ultimo incontro di Anatomia della Mente (in un classico ciclo di conferenze che si tiene ormai da 11 anni nella Biblioteca Ariostea di Ferrara) ha intrattenuto il suo affezionato ed attento pubblico con “Uno sguardo psicobiografico sulla vita e le opere di William Carlos Williams, medico e poeta”.

Mentre Caracciolo parlava dello stretto legame di Carlos con la madre portoricana, dei suoi incontri con Ezra Pound, Hilda Doolittle, Marianne Moore, Wallace Stevens fino a un giovane Allen Ginsberg (al quale scrisse la prefazione del suo L’urlo), mi è venuta in mente L’Asfodelo , una grande poesia dell’americano sull’ amore in età avanzata e ho quasi percepito quell’ ”odore curioso” che il poeta definisce “odore morale” un odore, cioè, che non è fatto per le cellule olfattive, e dunque per un naso, ma per l’immaginazione.

E non è forse questa la migliore definizione di poesia, quella cioè data da Octavio Paz? Una lingua che “parla” all’immaginazione.

È proprio solo l’immaginazione a comprendere ciò che la poesia dice e che può provare a tradurne le parole nella nostra lingua.

Lo stesso Williams infatti paragona la sua poesia a una “sassifraga che spezza le rocce”. Fiori immaginari dunque che agiscono nella realtà. Ed è così che il poeta fa del mondo un luogo vivibile.

Il 4 Marzo 1963 Williams si spense nella casa di Ridge Road a Rutherford, la stessa casa dove era nato nel 1883. Il Pulitzer che gli fu assegnato postumo fu il riconoscimento a un poeta la cui influenza è ancora attuale (nel 2016 il film Paterson di Jim Jarmusch fu ispirato dalla sua poesia) e la cui esperienza poetica può essere riassunta con le sue stesse parole:

quel che mi ha interessato di più è stato scrivere facendo attenzione a disporre le parole in un ordine che fosse libero da menzogne”.

Il merito di Caracciolo è di averci restituita viva e intatta la figura di uno dei più grandi modernisti della poesia americana e di averlo fatto con il garbo, la gentilezza e la sensibilità del… medico poeta.

[…] è difficile

ricevere notizie da poesie,

eppure uomini muoiono

miseramente ogni giorno

per mancanza di ciò

che là si trova.

[…]

da L’asfodelo, il verdognolo fiore di William Carlos Williams