Parole e nuvole

Secondo il linguista americano Noam Chomsky tutti i linguaggi – verbali, gestuali, comportamentali – sono innati cioè codificati nel genoma. Ma più in generale, secondo questa interpretazione… naturale, qualunque linguaggio ha strutture e procedure comuni a tutti gli altri.
A ben vedere queste strutture e procedure comuni ai linguaggi possono essere facilmente estese , per analogia, a qualunque cosa che in natura emerge e si sviluppa in modo apparentemente genetico: praticamente quasi tutto! Una stella, un cristallo, un embrione, un germoglio, una nuvola,… una poesia, sembrano tutti processi che si manifestano attraverso una nucleazione e una crescita.
Tanto che alla fine tutto “… quello che emerge finirà per convergere”.
Dopo aver scritto il primo verso il poeta lascia che le parole…parlino tra loro: in un certo senso la scrittura nuclea o germoglia dalla…lingua. Ogni parola verrà così riconosciuta e accolta dalle altre , da quelle, soprattutto che presentano con lei affinità di significato, di metafora, di risonanza, di musicalità e ritmo.
Nasce così una sorta di «confabulazione nella creatura-lingua» (J. Berger) che porta a una struttura, a un testo scritto. È un botta e risposta a cui il poeta, a volte, assiste suo malgrado in modo passivo: le parole e il loro suono, per così dire, si impongono nell’ambiente  in cui sono spuntate. E crescono.
È in questo modo che la poesia diventa qualcosa di materiale come una nuvola.
Un nuvola per formarsi segue un procedimento analogo alla poesia: qui non sono le parole a “confabulare” tra loro ma piccole gocce d’acqua o minuscoli cristalli di ghiaccio che …interagendo si sostengono nella crescita.
E così come nelle poesie possiamo “vedere-ascoltare” delle strutture ordinate nello spazio e nel tempo (versi, endecasillabi, strofe, sonetti, etc…), anche tra le nuvole potremmo “vedere-ascoltare” cirri, cumuli, strati,…
Portando alle estreme conseguenze questo parallelismo potremmo sintetizzare dicendo che la Natura è Linguaggio cosicché parola e poesia stanno nella stessa relazione di goccia e nuvola.

89 nuvole  (Mark Strand)

  1. Una nuvola non è mai uno specchio
  2. Le parole sulle nuvole sono nuvole loro stesse
  3. Se nevica in una nuvola, solo la nuvola lo sa
  4. Per ogni nuvola c’è un’altra nuvola
  5. Una nuvola sogna solo triangoli
  6. Una nuvola è una stagione di bianco
  7. Lo sfolgorio delle nuvole è falsità
  8. Le nuvole sono state disossate
  9. Al museo delle nuvole è esposta solo Biancaneve
  10. Le nuvole sono frutta soffice
  11. Lo scorrere delle nuvole è come pomeriggio dopo pomeriggio
  12. Se un pappagallo si perde in una nuvola diviene arcobaleno
  13. Le nuvole sono innamorate degli orizzonti
  14. Si parla in una nuvola come in un telefono
  15. Un cielo senza nuvole è calvo e azzurro
  16. Le nuvole del mare profumano di mare
  17. Le nuvole sono nobili e inquiete
  18. La nuvola che se n’era andata non sarebbe più tornata
  19. Il dolore delle nuvole non riusciamo nemmeno a immaginarcelo
  20. Le nuvole sono pensieri senza parole
  21. Le nuvole sono schiave del vento
  22. Una nuvola senza forma è sempre aperta
  23. Le nuvole sono trascinate da uccelli invisibili
  24. Se le nuvole avessero braccia, abbraccerebbero

Queste sono alcuni degli 89 versi-poema del poeta americano Mark Strand a corredo di altrettante immagini dell’artista Wendy Mark. Si tratta di una collezione di 89… nuvole che danno forma e significato alle parole. Simile per concezione ai Tredici modi di guardare un merlo di Wallace Stevens, 89 Clouds di Strand è la lista dei possibili modi di guardare le nuvole e di sentirle parlare.
Oltre al linguaggio, con la sua forma e procedura, ci sono comunque altre due cose che accomunano tantissimo poesie e nuvole: il movimento e la distanza.
Una poesia a differenza dei corpi di cui si impossessa non è fissa in un tempo e in uno spazio ma si sposta. Essa infatti racconta una esperienza già passata ma con la propensione (F. Jullien) di farla vedere-ascoltare a qualcun altro che vive o vivrà in un altro luogo e in un altro tempo.

Proprio come fa una nuvola che raccoglie e condensa acqua da un certo punto in un dato tempo con la propensione di chiacchierare pioggia o sussurrare neve da qualche altra parte nel futuro.
Una poesia/nuvola ci parla quindi del suo passato protendendosi in avanti per venire vistascoltata.
E quante cose si capiscono “leggendo” le nuvole!
Prendiamo ad esempio i cirri (dal latino cirrus, ricciolo) sono nubi oblunghe, a strisce o filamentose, che lasciano passare la luce e intravvedere l’azzurro del cielo. Questo nuvole si muovono con un lento movimento e tendono a invadere il cielo (come un endecasillabo e lunghe strofe si impegnano a fare su un foglio bianco). Queste nubi sono costituite da cristalli di ghiaccio trasportati dai venti e rilevano la presenza di umidità a quote elevate; potrebbero quindi annunciare l’arrivo di una tempesta o di un fronte caldo.
Si possono distinguere i cirri di bel tempo da quelli che preludono il cattivo tempo sia per il diverso aspetto, sia per la velocità di spostamento. I cirri di bel tempo sono alti nel cielo e si spostano lentamente; la loro forma è irregolare e l’estensione limitata. I cirri di cattivo tempo sono disposti parallelamente e coprono tutto il cielo; quando la depressione si avvicina, si muovono velocemente.

Non potremmo parlare allo stesso modo della poesia? Versi brevi o filamentosi raggruppati in distici, terzine, quartine… che lasciano passare il bianco del foglio e i silenzi tra una parola e l’altra. Questi versi sono costituiti da parole con accenti più o meno acuti, parole venute da chissà dove e trasportate chissà dove ad annunciare e significare tempi burrascosi o anticicloni caldi.

Le nuvole sopra Ferrara (Zbigniew Herbert)

1.
Bianche
oblunghe come le navi greche
drasticamente tagliate dal basso

senza vele
senza remi

quando per la prima volta
le ho viste su un quadro di Ghirlandaio
ho pensato
a creazioni
fantasiose dell’artista

ma esse esistono

bianche
oblunghe
drasticamente tagliate dal basso

il tramonto le tinge
di sangue
di rame
d’oro
e di verde azzurro

al crepuscolo
sembrano spruzzate
di fine
sabbia
viola

si muovono
molto lentamente

sono quasi immobili

2.
non potevo scegliere
nulla nella vita
secondo la mia volontà
la conoscenza
e le buone intenzioni

né un mestiere
né un posticino nella storia
né un sistema che spieghi tutto
né tante altre cose
perciò ho scelto posti
molti posti in cui fermarmi

– tende
– osterie lungo le strade
– rifugi per senza tetto
– stanze per ospiti
– ho pernottato sub Iove
– nelle celle dei chiostri
– in pensioni sul mare

i veicoli
come tappeti volanti
delle favole d’Oriente
mi spostavano
da un luogo all’altro
mezzo addormentato
incantato
tormentato dalla bellezza del mondo

in fondo
questa era una spedizione suicida

strade intricate
apparente mancanza di scopo
orizzonti in fuga

ma ora vedo chiaramente
le nuvole sopra Ferrara
bianche
oblunghe
senza veli
quasi immobili

si spostano lentamente
ma sicure
verso rive
sconosciute

proprio in esse
e non nelle stelle
si risolve
il destino

In questa poesia di Zbigniew Herbert confondere le strofe con cirri, cumuli e strati è un attimo. Vedereascoltare nuvole che si muovono dalla Grecia come oblunghe navi bianche, passando per i cieli del rinascimento italiano nelle parole del Ghirlandaio, fino agli orizzonti in fuga significa parlare un linguaggio comune. Il destino, allora, non si risolve tra le stelle a distanze tanto enormi da non poter essere concepite (e pertanto insignificanti),  ma tra le nuvole, a distanze dunque più confortanti, più umane.

Ecco l’altra importante dimensione che collega le nuvole alla poesia: la distanza.

In ogni poesia c’è distanza perché tutte le poesie parlano in modo più o meno esplicito di viaggi. Le poesie parlano di partenze e ritorni di abbracci e arrivederci.

E il viaggio sottintende una distanza temporale e spaziale da interporre, da colmare.
Per dirla in un altro modo: le nuvole come le poesie sono evocative di un’ assenza.
Quante volte, alzando gli occhi e vedendo un cielo perfettamente azzurro ci siamo lasciati andare a questa espressione banale: «non si vede neanche una nuvola».
Ma non è forse questo l’embrione, il nucleo centrale della questione? Non è forse l’assenza ad ispirare la presenza? Non è forse in questo delicato gioco tra parola e silenzio, tra goccia e vuoto che germoglia…la lingua, una nuvola?
Proprio così. Accade che una singola parola, confabulando nel silenzio con altre sue simili, possa dar vita a una poesia o che una singola goccia accordandosi con quelle che la riconoscono possa accrescere una nuvola.
Ma si tratta sempre e solo di uno stesso linguaggio che, a prestargli la dovuta attenzione, comprendiamo tutti perché è innato.
Ci può parlare in poesia, ci può parlare in nuvole, persino in arte e in tecnica ma Questa Assenza dice, in tutti i modi, in tutte le lingue e a tutti, le stesse identiche cose. Ascoltiamole. Semplicemente.

 Le nuvole (Fabrizio De Andrè)

Vanno vengono
ogni tanto si fermano
e quando si fermano
sono nere come il corvo
sembra che ti guardano con malocchio

Certe volte sono bianche
e corrono
e prendono la forma dell’airone
o della pecora
o di qualche altra bestia
ma questo lo vedono meglio i bambini
che giocano a corrergli dietro per tanti metri

Certe volte ti avvisano con rumore
prima di arrivare
e la terra si trema
e gli animali si stanno zitti
certe volte ti avvisano con rumore

Vengono vanno ritornano
e magari si fermano tanti giorni
che non vedi più il sole e le stelle
e ti sembra di non conoscere più
il posto dove stai

Vanno vengono
per una vera mille sono finte
e si mettono lì tra noi e il cielo
per lasciarci soltanto una voglia di pioggia.