Il romanzo di Rubens, campione per sempre
Stefano Muroni, Rubens giocava a pallone, Pendragon Edizioni, 2021
Recensione di Eleonora Rossi
Il romanzo di Rubens, campione per sempre
«Dalle nostri parti si dice che per il 2 novembre i morti ritornino a dormire nei loro letti».
Bastano le prime due righe a innescare la miccia di una storia potente che annoda amore, morte e immortalità.
Rubens giocava a pallone, Pendragon Edizioni, è il titolo del romanzo d’esordio di Stefano Muroni; una storia dimenticata che l’autore non poteva non narrare: «doveva essere scritta», perché bisbigliata dalle voci dei «suoi morti».
Quel ‘giocava’ nel titolo è il primo indizio: l’imperfetto è il tempo verbale del sogno. E ‘sogno’ in questo libro è parola chiave, imprescindibile, perché si narra la ‘favola’ di Rubens Fadini, mediano, campione di calcio, nato a Jolanda di Savoia, in provincia di Ferrara, il primo giugno del 1927 e morto a Superga il 4 maggio 1949, nel tragico schianto aereo del Grande Torino.
In un’atmosfera surreale, quasi onirica, chi scrive ci porta «dalle sue parti»: ci mostra la figura di una minuscola vecchia, piantata in mezzo alla campagna, un «insettino rattrappito, tutto nero, con quegli occhi azzurri pieni di speranza e di amore, amore vero (…). Un punto nero lontano, distesa su una roba bianca, nell’infinito della pianura».
Quella donna, lo scopriremo presto, è Giustina, la promessa sposa di Rubens; sarà lei a raccontare la sua storia a un maresciallo dei carabinieri. E già il primo capitolo è da brividi: «Lei aveva sentito quel sapore ancestrale dei morti che tornano dai cari, nei loro letti, per ricordare ai vivi e ai disperati che nessuno muore mai completamente».
Stefano Muroni ha il talento del narratore: sa condurci con le parole nei luoghi della sua memoria, riesce a farceli vedere. La memoria di chi è cresciuto in una realtà di provincia, tra le ‘signore impiccione’ del cimitero, i vecchi, il prete. L’autore sa ricreare una realtà ruvida, a volte spietata, ma al tempo stesso ci ridona la carezza del passato, le atmosfere soffuse e le tinte fosche che si ritrovano in certe tele di Van Gogh. Immagini evocative, dai contorni poetici, eppure così nitide da prestarsi a una resa cinematografica. Il montaggio dei ricordi, il pendolo che oscilla tra l’interiorità del personaggio e il mutare degli eventi intorno, la voce dei personaggi nei dialoghi continui rendono le scene vive e appassionanti, quasi fossero fotogrammi di una pellicola.
Dopo aver pubblicato due volumi di successo: Tresigallo città di fondazione. Edmondo Rossoni e la storia di un sogno (Pendragon, 2015; con un saggio di Antonio Pennacchi, introduzione di Giuseppe Parlato e postfazione di Folco Quilici, giunto alla seconda edizione) e Dall’alto della pianura. Storie perdute di amore e di follia (Pendragon, 2017, con prefazione di Diego Marani), Muroni si cimenta con la prova più complessa, il romanzo. La sua opera d’esordio si nutre della sua storia, quella dei suoi nonni e dei suoi bisnonni: «Il mio progetto, attraverso i libri e i film – spiega lo scrittore – è quello di raccontare la Provincia. Se Giorgio Bassani ci ha lasciato un ritratto di Ferrara indimenticabile, mi piacerebbe raccontare il grande romanzo ferrarese fuori le Mura. La storia della Terra, della Provincia, dei piccoli paesi». La grande bonifica ferrarese, gli scarriolanti, la Tresigallo di Rossoni; e sullo sfondo di questi eventi, la storia maiuscola con i suoi stravolgimenti: il fascismo, la Guerra. Senza dimenticare la storia del calcio tra le due guerre, con il riflettore puntato sul dramma del Grande Torino.
La tragedia di Superga sconvolse tutti. Tutti.
Impossibile restare indifferenti; inaccettabile l’idea che la vita di quei giovani, nel pieno della forma fisica, potessero all’improvviso scomparire nel cielo sopra Torino, la città che li aveva appena battezzati promesse del calcio: sfracellarsi e dissolversi insieme al sogno del Grande Torino, ma soprattutto delle loro giovani vite. Ma ecco che l’autore va a recuperare i brandelli di quello schianto crudele, restituendoci una storia personale: ci fa sentire la carne e il cuore del giovane Rubens.
Fin da bambino Fadini sente che vorrebbe diventare un calciatore senza essere capito dal padre, il quale lo vuole solo un onesto lavoratore; Rubens inizia di nascosto ad allenarsi nella squadra più vicina a casa, il Tresigallo Calcio, ma, con la forza, gli verrà proibito di giocare. Nemmeno la guerra e i bombardamenti su Milano però fermeranno il sogno del ragazzo, il quale nel 1946 viene comprato dalla Gallaratese. Il giovane Fadini attira gli osservatori delle più blasonate formazioni di Serie A: Fiorentina, Milan, Inter. ‘A Gallarate il Torino ha trovato il nuovo Mazzola’, scrivono i giornali. Sei mesi di maglia granata, dieci presenze, un gol contro il Milan, la fatale trasferta a Lisbona.
Pagina dopo pagina si soffre insieme a Rubens, nelle aspirazioni domate brutalmente da un padre tiranno, nelle fatiche quotidiane, nelle notti attraversate da un incubo ricorrente; ci si affeziona e ci si commuove davanti alla perseveranza di un piccolo uomo. Alla sua prima e ultima storia d’amore.
In Rubens giocava a pallone è labile il confine tra vita e sogno: a tratti la biografia sembra sconfinare nell’immaginazione («Io ho raccontato solo ciò che ha raccontato la vecchia Giustina al maresciallo», ammicca l’autore). Questa scelta rende avvincente la narrazione e fa entrare Rubens – con le sue gambe possenti capaci di scavare un solco nel terreno con la forza di un aratro – nel territorio sterminato della leggenda. Da eroe*.
Rubens Fadini era il più giovane del Torino: non aveva ancora compiuto 22 anni, quel fatidico 4 maggio1949, e 21, non a caso, sono i capitoli del libro, scritti con stile maturo e immagini indelebili. Pagine che descrivono la parabola di una vita che si compie, come un cerchio perfetto.
«La copertina del libro è un capolavoro dell’illustratrice Rosanna Mezzanotte – spiega l’autore -: sintesi limpida di tutto il romanzo: Rubens è ritratto con la sua maglia granata numero sei, i polpacci muscolosi, più imponenti delle spalle. Lontano sullo sfondo, quasi una visione, appare Superga che è insieme il sogno di un bambino, la realizzazione di quel sogno, la sua meta e la sua morte. Ma nel contempo la sua immortalità**».
L’istante eterno della vita.
Credere nel proprio sogno aiuta a superare ogni ostacolo. E in quel sentimento si specchia l’autore, la sua determinazione: «E quel lume laggiù in fondo pareva illuminasse gli occhi accesi di quel piccolo sognatore, che già pensava al primo giorno di scuola, quando avrebbe potuto riprendere a calci il pallone, e percepire di nuovo quella straordinaria sensazione di sentirsi alla pari con se stessi, in una vita che ti voleva sempre in debito». Un significato racchiuso nelle parole (forse solo immaginate) di Valentino Mazzola: «Il mondo è strano. Ma tu non potrai mai tradire te stesso, il bambino che eri, che è ancora dentro di te. Questa è la risposta giusta, che io ho capito solo adesso: ‘Essere campione per sempre’» .
«Non so se sia vero ciò che mi sta raccontando, signora, però è una storia bellissima», si schermisce, chi scrive, negli ultimi passaggi del romanzo. Su una cosa però non ci sono dubbi: è una «nuova favola bella» da raccontare.
Confida l’autore: «Io vengo da quel mondo, dalle testimonianze, dalle storie narrate a voce. È stata mia zia Anna, la zia di Gherardi, a ricordarmi che il 2 novembre tornano i morti». Voci che continuano a parlare.
E in quella convinzione, di pascoliana memoria, è il seme della sua ispirazione: «Vede maresciallo, a volte le storie stanno nel vento, nel frastuono degli uragani di giugno, nelle nebbie dense di novembre, nella leggerezza delle spighe di grano, nei canti lontani che non ci sono più, nel silenzio della campagna.
Basta solo saper ascoltare».
Rubens giocava a pallone è la storia di un ragazzo di provincia, ma racchiude una vicenda universale.
La forza caparbia di un sogno che si realizzerà.
Per sempre.
(Recensione pubblicata ne l’Ippogrifo di giugno 2021)
Nota 1*: «Un diverso modo di guardare dentro i recessi di ogni uomo nella sua più complessiva avventura dentro il cosmo», per dirla con le parole di Antonio Pennacchi, lo scrittore preferito di Stefano Muroni.
Nota **: L’illustratrice Rosanna Mezzanotte ha studiato le fotografie di Superga ai tempi della tragedia e, tra le tante collaborazioni, ha illustrato il video della canzone di Vasco Rossi Jenny è pazza.