‘NASCERE’, L’ORIZZONTE DI LUCE NELL’ARTE DI SERGIO ZANNI
NASCERE, L’ORIZZONTE DI LUCE NELL’ARTE DI SERGIO ZANNI
Le opere dell’artista ferrarese alla Galleria Cloister fino al 20 settembre 2020
Figure solitarie mostrano il dorso. Si allontanano da chi li guarda.
Si svincolano dagli sguardi degli altri e sembrano mettersi in cammino verso un orizzonte di cielo, di libertà.
Personaggi che escono dagli schemi della ‘realtà’ e della storia per entrare in una dimensione di unicità, di significato; in equilibrio su un asse che oscilla tra quotidianità e mitologia.
Molti di loro indossano un cappotto pesante, con grandi tasche, abbottonato fino al collo. Raccontano del vivere la fatica, ma nel contempo lo stupore, il desiderio.
Per questo forse sono muniti di ‘oggetti magici’, come zaini, cappelli cinematografici, valigie, carretti, oppure stravaganti occhialini alla Nuvolari.
Qualcuno tra le mani ha un paio d’ali.
Personaggi ingombranti eppure leggiadri, vestiti di ispirazione, come attori nella luce del palcoscenico.
Le teste sono piccole per un gioco di proporzioni, creando così l’illusione di monumentalità delle figure.
Esseri giganteschi che affermano se stessi. Ognuno di loro diventa il sole di un universo personale. E insieme, uniti da un filo invisibile, dialogano senza parole nel mondo poetico dell’artista Sergio Zanni. Una landa incredibile popolata di eremiti, cacciatori di nuvole, equilibristi, piloti, palombari.
Custodi di domande e di enigmatiche risposte.
La mostra Nascere di Sergio Zanni si può ammirare fino al 20 settembre 2020 alla Galleria Cloister di Ferrara, Corso Porta Reno 45, che ha riaperto in grande stile con una raffinata esposizione che prende il nome dagli ultimi lavori dell’artista ferrarese, scultore e pittore.
La mostra si potrà visitare nei seguenti orari: martedì, mercoledì e giovedì dalle 16.00 alle19.00; venerdì e sabato dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 16 alle 19.00; (chiuso di domenica e lunedì).
Io mi avvicino alle opere di Sergio Zanni con riverenza, quasi con soggezione, preceduta dalla sua fama e da un’aura di sacralità che pervade le opere esposte.
Ogni scultura sembra racchiudere una storia: c’è Ulisse incatenato all’albero della nave; c’è un curioso personaggio con la mano distesa sotto una nuvola (“Pioverà?”); ci sono “figure senza davanti”, persone con il becco, angeli misteriosi. Viandanti in cammino e qualcuno che s’appresta furtivamente a La grande fuga.
Poi ci sono uomini ciclopici (e spaesati) che osservano minuscole creature appena nate, forse tentano, sconsolatamente, di prendersene cura.
Esseri che sembrano vivere in una dimensione fuori dal tempo, oltre il tempo e lo spazio, in una ‘terra di mezzo’ che nulla ha in comune con il nostro presente tecnologico. Continui sono i rimandi al passato, all’antichità, al mondo greco, culla dell’arte e della filosofia.
Il fascino per la filosofia traspare dalle parole di Sergio Zanni, che descrive l’arte citando Hegel: il fine dell’arte, secondo il pensatore tedesco, è «rivelare la verità sotto forma di configurazione artistica sensibile». Nel bello artistico si ha la manifestazione sensibile della verità, la rivelazione concreta e individuale dell’universalità dello spirito, «l’apparire sensibile dell’idea».
Sergio Zanni è nato nel 1942 a Ferrara, dove vive e lavora. Dopo il diploma all’Istituto d’arte ferrarese “Dosso Dossi”, ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Bologna. L’artista predilige per le sue sculture la terracotta, ma ha sperimentato anche materiali più leggeri (polistirolo ricoperto con criptonite e iron ball; vetroresina; tondino di ferro; assemblaggi con oggetti di ferro) per le figure di grandi dimensioni.
«Da Ferrara – si legge nella brochure della mostra Nascere – Sergio Zanni, scultore e pittore, non si è praticamente mai spostato, salvo qualche viaggio e un intermezzo a Roma di quattro mesi, per collaborare alle decorazioni di Giulietta degli spiriti di Fellini. ‘Ho un rapporto intenso con la mia città”, dice, ‘una città molto bella, abitata dai silenzi, dove si può riflettere e immaginare: Ferrara è la mia casa, un nido da cui sognare il mondo, da cui guardarlo, come lo si guarda da una finestra. I ferraresi sono persone poco estroverse (come sono diversi dai romagnoli, tra i quali ho tanti amici…); essendo abbastanza introverso, mi ci trovo molto bene. So di avere con la mia città un legame affettivo viscerale: ci sono strade della Ferrara antica, città a misura di pedone, che mi fanno stare bene, che scelgo di percorrere per andare in un certo posto perché ritrovo le porte, le case, gli spazi sacri dell’infanzia; la città era allora divisa in bande (Del piazzalino verde, Della Darsena), come ne I ragazzi della via Pal, e ancora ricordo le battaglie’».
«In questi ultimi mesi – scrive Sandro Parmiggiani – Zanni lavora ai Naufraghi, che, nonostante abbiano ormai l’acqua alla gola, s’ergono su barche che stanno inabissandosi, e alle Figure controvento, anch’esse segnate dal dramma, e, come lui dice, ‘dalla consapevolezza di vivere gli ultimi fuochi di un tempo, quello dell‘umanesimo, giunto ormai alla fine, con il tempo della tecnologia e della scienza che eclissa un modo di essere che apparterrà sempre più al passato’. Sculture che Zanni alterna ai grandi disegni de I cercatori dell‘immutabile, che stanno inseguendo ciò che possa bloccare il tempo».
Vittorio Sgarbi ha definito Sergio Zanni un ‘surrealista padano’1. Nel Surrealismo è essenziale la liberazione delle potenzialità immaginative dell’inconscio per il raggiungimento di una conoscenza oltre la realtà, in una ‘sur-realtà’ che pone sullo stesso piano veglia e sogno; nelle opere di Sergio Zanni si osserva però un dominio della razionalità, della ‘veglia’ sul sogno: la volontà di narrare storie, di riprendere il filo di un antico discorso. Di cercare nel passato e nel pensiero orientale quel seme di conoscenza e significato smarrito nel presente.
Il ‘surrealismo padano’ – ponendo l’accento sull’aggettivo – si osserva in modo forse più evidente nei disegni e nelle tele di Sergio Zanni, dove domina la pianura e la linea dell’orizzonte, con smisurate vastità di cielo.
Se c’è una ‘verità’, forse è quella linea di luce che si allontana (o s’intravvede?) all’orizzonte: è ad essa che tendono con fare circospetto i cercatori di nuvole, i palombari, Ulisse e gli altri viandanti.
Indagatori dell’ignoto, esploratori dell’abisso.
(Eleonora Rossi)
(Tutte le fotografie sono di Daniela Carletti, che ringraziamo cortesemente)
1Vittorio Sgarbi (a cura di), Surrealismo padano (catalogo della mostra, Palazzo Gotico di Piacenza, 2002), Skira, Milano 2002.